L’investigatore: «In due anni 124 atti intimidatori in Emilia»
Bottiglie incendiarie, buste contenenti proiettili (spedita anche a un notaio), un cuore di suino infilzato da una siringa, auto a fuoco in serie, minacce a mano armata, luoghi in cui punire chi...
Bottiglie incendiarie, buste contenenti proiettili (spedita anche a un notaio), un cuore di suino infilzato da una siringa, auto a fuoco in serie, minacce a mano armata, luoghi in cui punire chi parla troppo «infilandolo in un sacco con la testa tutta dentro e la lingua fuori»: per fare capire chi comandava, il nucleo emiliano della 'ndrangheta ha organizzato ben 124 atti intimidatori, da Modena a Piacenza, tra il gennaio del 2010 e l'ottobre del 2012. Il conto lo ha fatto nell'udienza di ieri del maxi processo Aemilia il maggiore Andrea Leo, ex comandante dei carabinieri di Fiorenzuola, che da alcuni giorni sta riferendo come testimone l'esito delle indagini.
Leo parla quindi di «un clima di intimidazione e grave compromissione della sicurezza in quel periodo», a cui si accompagnava inoltre «una omertà nelle denunce». Non era però solo con le maniere forti che la cosca si faceva rispettare. In una intercettazione, infatti, uno degli imputati sottolinea: «Qui si governa con la pila (denaro, ndr) e con la potenza». Infine, se il nome di Nicolino Grande Aracri veniva speso come «biglietto di presentazione» del sodalizio criminale del nord, nominare il boss per telefono era tabù per paura di intercettazioni.
In aula ancora praticamente assente il pubblico, mentre alle prossime udienze assisteranno i ragazzi di alcune scuole di Bologna, Reggio e Argenta (accompagnati da Libera). Sulla testimonianza di Leo uno degli avvocati difensori ha eccepito che, quelle poste come asserzioni dal militare relative alla mafia, sono in realtà «ipotetiche ipotesi investigative». Non influirà lo sciopero nazionale degli avvocati penalisti contro la riforma del processo penale proclamato per i prossimi 24, 25 e 26 maggio. Gli imputati hanno già chiesto ai loro legali di astenersi dalla protesta. L’avvocato difensore Antonio Piccolo intende chiedere nuovamente alla Corte l’ammissione della testimonianza del ministro Angelino Alfano: «Ha sciolto Brescello per mafia, con elementi che possono avere rilevanza in questo processo?».