Gazzetta di Reggio

Reggio

«Reggio era nelle mani del duo Sarcone-Diletto»

di Tiziano Soresina
«Reggio era nelle mani del duo Sarcone-Diletto»

Lapidario l’investigatore Calì che torna sui “rapporti” con le forze dell’ordine Spuntano 2 milioni presi a Grande Aracri, Brescia in foto con Gasparri e Brambilla

11 giugno 2016
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REGGIO EMILIA. «A Reggio comandavano Nicolino Sarcone ed Alfonso Diletto». E’ a dir poco lapidario il luogotenente dei carabinieri Camillo Calì rispondendo – ieri nell’aula bunker – alle domande dell’avvocato Federico De Belvis che difende Alfonso Paolini. Siamo nel “cuore” di un chirurgico controinterrogatorio del difensore che porta il testimone-investigatore non solo a delineare i vertici del clan, ma anche ad indicare il concreto ruolo di Paolini alla luce delle sue indagini: «Non aveva una posizione di vertice, un semplice affiliato a stretto contatto con Sarcone, Romolo Villirillo e Francesco Lamanna. Paolini era una figura di contatto fra il clan e le forze dell’ordine». Anche ieri Calì ha infilato il dito nella piaga dei troppi “legami” a Reggio fra diversi imputati e chi indossa una divisa. Paolini che telefona ad un carabiniere (ora trasferito ed indagato in un altro procedimento) solo perché era in auto con Giuseppe Iaquinta e stavano rischiando di prendere una multa, per non parlare dell’ormai famosa cena del 21 marzo 2012 al ristorante “Antichi sapori” di Gaida a dir poco monitorata dai carabinieri di Fiorenzuola che però «tennero deliberatamente all’oscuro i colleghi di Reggio» come sintetizza il presidente Francesco Caruso, alludendo a quanto già emerso in aula sui dubbi di chi si trovava di fronte a intercettazioni e pedinamenti in cui spuntavano come funghi carabinieri e poliziotti. Dubbi che avevano portato – specifica Calì – ad intercettare a Reggio Domenico Mesiano (autista del questore), Felice Caiazzo (in forza alla Mobile) e l’appuntato dei carabinieri Domenico Salpietro. Sempre il testimone ha aggiunto che in occasione degli incontri di ’ndrangheta non avevano notato precauzioni («A Reggio si sentivano tranquilli...»), poi su precisa domanda parla delle foto scattate probabilmente nel ristorante di Pasquale Brescia con quest’ultimo ritratto con noti esponenti del centrodestra (Maurizio Gasparri e Michela Vittoria Brambilla). Ritorna su Paolini quando dice che pur gravato da precedenti penali era in possesso del porto d’armi («La questura di Reggio non aveva informazioni...»). Nel controesame l’avvocatessa Carmen Pisanello (difensore di Michele Bolognino) contesta l’autonomia da Cutro del clan emiliano: chiede se c’è una cassa comune nella cosca e nelle pieghe del danaro che gira vorticosamente spuntano 2 milioni di euro che Nicolino Grande Aracri, intercettato, reclama da Romolo Villirillo: se li era intascati a sua insaputa.