Aemilia, il terrore negli occhi dell'imprenditore: "Minacciato, pagai"
Prima i "non ricordo" poi lo sfogo: "Temevo per i miei cari": Ammonito per reticenza Bonifazio, gli bruciarono nove camion
REGGIO EMILIA. «Ho paura per mia figlia e per la mia famiglia, esisteva il timore che qualcuno potesse fare del male a loro». Parole pesanti e l'impressione - in aula - che quel terrore non se ne sia mai andato dai pensieri dell'imprenditore edile correggese 41enne Dimitri Menozzi. E per la prima volta ieri nel maxi processo, dalle reazioni spaventate di un testimone, si è toccato con mano quel clima in odore di 'ndrangheta che sinora era emerso solo dagli atti d'indagine.
Una testimonianza davvero sofferta e lunga (circa tre ore) quella dell'imprenditore che secondo l'accusa fu al centro - nel maggio 2012 - di un'estorsione. Inizialmente infarcisce di «non ricordo» il suo scarno racconto, poi si sblocca quando interviene energicamente Francesco Caruso, presidente della Corte: «La reticenza è reato, lei deve dire la verità, si può pensare che questo suo cattivo ricordo sia frutto di altro».
E' il momento-chiave, l'imprenditore "si libera" e comincia ad ammettere intimidazioni, minacce di morte, traumi, paure per sè e la famiglia, quindi «costretto a firmare cambiali per diecimila euro». Una vicenda che parte nel 2009, cioè quando l'impresa del correggese va in forte affanno. Un debito per circa 10mila euro l'accumula con i titolari del distributore Agip in via Emilia all'Angelo, Emilia: Michele Tostoni e Antonio Frizzale.
Per mezzo di Emilio Bocconcino - racconta Menozzi - avrebbe saldato il suo debito cedendo a questo intermediario crediti vantati verso una terza persona per 15-18mila euro. Sembra un debito chiuso («Tutto a posto, mi ripeteva sempre Bocconcino)». Invece tre anni dopo - siamo nel maggio 2012 - arriva a Dimitri la telefonata di un suo "storico" amico, Luigi Silipo.
«Mi ha detto che alcune persone mi cercavano ed erano delinquenti, se non avessi pagato mi avrebbero fatto del male e mi avrebbero rotto la testa e non c'era più modo di tornare indietro». E' l'inquietante prologo dell'incontro con Antonio Silipo (fratello di Luigi), Nicolino Sarcone e Gaetano Blasco davanti a un bar. «Mi hanno detto che dovevo pagare i debiti e mi hanno portato in macchina fino al distributore. Ci seguiva un'altra auto da cui è sceso un calabrese che so fa il picchiatore per altri calabresi».
Un incontro talmente minaccioso che Menozzi deve firmare cambiali per 10mila euro. Ma riuscirà a pagare soltanto la prima. Ancora titubanze che fanno pensare nel pomeriggio, quando viene sentito Domenico Bonifazio, cioè l'imprenditore di Reggiolo che nel novembre 2012 vide andare a fuoco nove camion della sua ditta di trasporto di ghiaia.
«Bonifazio, chi è reticente va sotto processo per falsa testimonianza. Per il momento la ammonisco. Sta dicendo cose contraddittorie e incomplete», sbotta Caruso. «Sembra quasi che ora sono io l'indagato», replica Bonifazio. Sentite anche le sue due figlie interrogate a proposito di un fax in cui si parlava dell'incendio. «Ancora oggi non riusciamo a spiegare le motivazioni dell'incendio»