La silenziosa rete del clan Provenzano
Dopo la morte del capo la cosca si sta riorganizzando. La pista reggiana: traffici di droga e ditte con prestanomi collusi
REGGIO EMILIA. L’inedita presenza a Reggio – sinora molto silenziosa ma già nel mirino della Direzione investigativa antimafia (Dia) che ne parla nell’ultimo rapporto nazionale – di Cosa nostra e per la precisione di esponenti della famiglia Provenzano, porta con sè molte incognite sia dal punto dell’organizzazione criminale che dei settori in cui si sarebbero concentrati gli affari loschi del clan palermitano.
Nel luglio scorso Bernando Provenzano – indiscusso leader della cosca corleonese e numero uno della mafia siciliana negli anni della latitanza – è morto, dopo una decina di anni in carcere. Di certo la sua morte ha avuto un peso nell’assetto dell’organizzazione criminale e una recente indagine palermitana (“Grande Passo 3”) ha «accertato l’esistenza, all’interno del mandamento di Corleone, di fratture – scrive sempre la Dia – determinate da correnti contrapposte, riconducibili rispettivamente a Bernando Provenzano e Salvatore Riina». Una ridefinizione, quindi, degli assetti che, comunque, secondo gli investigatori «consente continuità ed efficacia nell’esercizio del potere criminale».
E in questo nuovo baricentro al Nord costituito dalla presenza a Reggio come si starebbero muovendo gli uomini legati alla famiglia Provenzano?
In soldoni, le ipotesi investigative si concentrano sul traffico di stupefacenti e sul condizionamento del tessuto commerciale ed imprenditoriale.
In una recente analisi dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano troviamo un “quadro” ben preciso: «Cosa nostra, come noto, è stata a lungo l’organizzazione leader nel traffico di droga a livello globale, subendo poi un netto arretramento negli anni Novanta e restando da allora sullo sfondo, almeno al Nord, rispetto ai gruppi criminali calabresi e talora anche quelli campani. Oggi tuttavia si assiste a un suo rinnovato protagonismo, tanto che gli investigatori segnalano indizi di una riattivazione dei vecchi canali di approvigionamento. Narcotraffico (per lo più cocaina ed eroina) ma anche “assalto” al tessuto socio-economico. Iil modus operandi di Cosa nostra fuori dall'area d'origine – si legge nel rapporto della Dia – oscilla tra condotte predatorie, per lo più indirizzate nei confronti di corregionali, e l'affarismo cui ricorre per infiltrare la locale realtà economico-amministrativa e rendere produttive le proprie attività lecite e illecite». Si spazia dai reati-spia (danneggiamenti od intimidazioni) all’infilarsi nell’economia di aziende gestite da prestanomi, ma riferibili al clan. Da una parte, quindi, un attivismo riorganizzativo in Sicilia da parte di Cosa nostra – accertato dalle ultime indagini – che significa 14 mandamenti (di cui 8 a Palermo) e su cui gravitano 79 famiglie. Dall’altra gli occhi della mafia sicula puntati sul Nord, a cui Reggio non si sottrae.