«È un processo di bugie» Blasco portato via a forza

di Ambra Prati
«È un processo di bugie» Blasco portato via a forza

Processo Aemilia: il maresciallo e il pm ripercorrono la lunga serie di roghi dolosi Il 52enne prima interviene (“ma quali incendi...”), poi dà in escandescenze

01 ottobre 2016
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REGGIO EMILIA. Prima è intervenuto da dietro le sbarre («ma quali incendi e incendi, come fate a dire che c’è stato un incendio? Tirate fuori le perizie dei vigili del fuoco. Si andava a vedere le palazzine finite e basta»), poi si è messo a urlare contro la ricostruzione del maresciallo e del pm Marco Mescolini, tanto che il presidente del collegio Francesco Caruso ne ha disposto l’allontanamento: alle 12.45 la polizia penitenziaria lo ha portato fuori, mentre l’indagato gridava «questo è un processo di bugie». L’udienza del maxi processo Aemilia di ieri sarebbe passata come una pedissequa ricognizione delle intercettazioni, se non fosse stato per le intemperanze di Gaetano Blasco, 52 anni, passato alla cronaca per quella telefonata con Antonio Valerio del 29 maggio 2012 in cui i due ridevano del terremoto a Mirandola (Modena) pregustando gli affari.

La prima parte di Aemilia è fatta di pagine e pagine di roghi dolosi nei cantieri edili, per tutta la provincia reggiana: quello di maggiori dimensioni era avvenuto ai danni della ditta Bonifazio, nove tir distrutti dalle fiamme nel cantiere di Sorbolo Levante. Una lunga scia di fuoco, seguendo la quale gli investigatori hanno messo insieme, passo dopo passo, il modus operandi della ’ndrangheta emiliana.

A rappresentare le premesse di questi episodi è stato il maresciallo dei carabinieri Emilio Veroni, del Nucleo Investigativo dell’Arma modenese: colui che supervisionò le intercettazioni sui soggetti, traendone le conseguenze e orientando di conseguenza l’indagine. Tramite i dialoghi captati tra Blasco e diversi indagati (dialoghi acquisiti nel 2013, ma facenti riferimento a episodi di cinque anni prima), Veroni ha ricostruito una sfilza interminabile di roghi dolosi: risalgono al 2007-2008 quelli ai danni di imprenditori edili cutresi colpevoli di non accettare i prezzi e la manovalanza della cosca (Blasco rimprovera un suo galoppino: «Ma sei scemo, proprio il tetto dovevi bruciare? Non potevi bruciare qualcosa d’altro?»). C’era chi si era messo in società con Blasco, specializzandosi in tetti in legno, convinto che avrebbe guadagnato di più – non proprio preveggente –, salvo poi scoprire che il socio falsificava la sua firma in banca, facendo terra bruciata intorno: niente più commesse per lui. Per vedere le fiamme avvolgere il proprio cantiere (di Viadana, in questo caso) bastava poco: un presunto debito non saldato, come nel caso di Domenico Gentile, un artigiano edile ma non l’ultimo degli arrivati se per lui si scomodarono i capi (prima Alfonso Diletto, poi Nicolino Sarcone e Michele Bolognino, ieri sempre in videoconferenza), a fare da mediatori. Difatti la diatriba si risolse con il pagamento del dovuto più 16mila euro di “ammenda”.