«Fa attività antimafia ma affitta a Sarcone»
Il pm incalza Salerno che replica: «Ma Nicolino poteva lavorare». Il testimone poi piange in aula
REGGIO EMILIA. Oltre due ore di testimonianza, incalzato dalle domande del pm antimafia Marco Mescolini e poi dal controesame di alcuni avvocati difensori.
Per l’ingegnere d’origine cutrese 48enne Salvatore Salerno un’autentica sofferenza culminata in uno sfogo, fra le lacrime: «Io sono un cittadino italiano e voglio che i miei figli vivano in una nazione dove possano uscire liberamente la sera. È inutile che dite cutrese… cutrese… Quando c’è stato il terremoto mentre c’era qualcuno che rideva per telefono (come assodato dall’inchiesta Aemilia, ndr) io sono andato a Carpi a presidiare la zona rossa per 4 notti. Sono preoccupato perché ho dei figli, un’azienda, io non voglio buttare una vita al vento… Io so come comportarmi… Ho studiato 10 anni…». Il testimone si sente sotto pressione perché il pm Mescolini gli dice: «Lei ha organizzato iniziative antimafia anche con lo studioso Enzo Ciconte, ma affittò un ufficio a Nicolino Sarcone». L’allusione è al locale in cui il 2 marzo 2012 avvenne l’incontro del politico di centrodestra Giuseppe Pagliani con i fratelli Nicolino e Gianluigi Sarcone, Alfonso Paolini, Antonio Muto e Pasquale Brescia. In quella palazzina di Pieve ha l’ufficio anche il testimone. «Con Gianluigi avevo dei rapporti di lavoro – risponde Salerno – e leggendo i giornali sapevo che Nicolino era stato coinvolto in processi di mafia ma anche che un giudice gli aveva dato la possibilità di lavorare in azienda». A quella riunione Salerno fu invitato. «Io ero estraneo alla comunità cutrese per come veniva percepita – prosegue l’ingegnere – e quel 2 marzo mentre ero in ufficio mi telefonò Gianluigi chiedendomi se potevo scendere che così mi avrebbe presentato Pagliani. Gli risposi che ero occupato e sarei andato più tardi. Mi ritelefonò e andai. Ricordo che all’incontro si lamentavano per come l'immagine dei cutresi usciva sui giornali. Muto era arrabbiato perchè ogni volta che c'era un incendio ai danni di ditte calabresi veniva riproposto anche l'articolo su sue vicende personali che riguardavano il porto d'armi ritirato. Si parlò di aprire un circolo delle libertà e anche di scrivere una lettera ai giornali: sconsigliai entrambe le cose». Per il difensore di Muto (classe ’55) il suo assistito non poteva aver parlato degli articoli sul porto d’armi perché uscirono dopo la riunione.