«Regalìe dal clan di Aemilia a due poliziotti»
Dalle tivù ai viaggi: ecco cosa finiva nelle tasche di due imputati
REGGIO EMILIA. Francesco Matacera, agente della squadra mobile della questura di Catanzaro e il suo superiore Antonio Cianflone avevano il distintivo in tasca ed erano stati premiati per le indagini sull’inchiesta Pandora. In realtà, sempre dentro le loro tasche secondo l’accusa, finivano regalìe di ogni genere, da parte di Giuseppe Giglio (ora pentito) e Palmo Vertinelli, imprenditori vittime di estorsione in Pandora ma imputati di spicco in Aemilia. Questi due sono considerati i bancomat della cosca Grande Aracri, coinvolti in diverse indagini. A dare loro alcune dritte i due poliziotti di Catanzaro, ai quali il solo Giglio aveva offerto tivù fino a 40 pollici, auto a noleggio, donne nei night club dell’Emilia quando salivano per svago «e non certo per missioni di lavoro». I due poliziotti erano passati di là dalla barricata. «Cianflone e Matacera tentarono di fare anche affari con Giglio, che gli propose di aprire un’agenzia di assicurazione» ha affermato senza dubbi ieri durante la testimonianza nell’aula di Aemilia il maresciallo dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Modena Emilio D’Agostino, sulla base soprattutto di intercettazioni.
«I due investigatori hanno offerto un contributo consapevole a Gilgio e Vertinelli» ha detto il maresciallo ricostruendo i fatti. Cianflone è stato già condannato in abbreviato a 8 anni e 6 mesi mentre Matacera attende ancora il giudizio di primo grado. La ricostruzione di D’Agostino è impietosa, anche se Cianflone aveva già cercato di smentire i fatti contestati.
«Una volta la sorella di Cianflone doveva traslocare a Milano. Giglio gli ha fatto avere a Catanzaro un furgone con tanto di Viacard e carta prepagata per fare carburante» racconta D’Agostino. Poi ci sono i 400 metri quadrati di piastrelle chiesti dai due agenti per rivestire il ristorante che avevano aperto insieme. Un sodalizio ben oltre le prerogative professionali della questura, e sostenuto per l’accusa dal clan che in cambio aveva informazioni di prima mano sulle diverse indagini in corso. (e.l.t.)