Viaggio della Memoria, visita allo stadio Olimpico di Berlino
Gli studenti di Reggio Emilia alla scoperta dell'impianto creato da Hitler per celebrare il nazismo
BERLINO Gli studenti reggiani protagonisti del Viaggio della Memoria organizzato da Istoreco hanno potuto conoscere luoghi apparentemente molto diversi fra loro, come il campo di concentramento di Sachsenhausen e lo stadio olimpico. In realtà sono due facce della stessa medaglia, l'uno non può esistere senza l'altro: sia l'architettura (cioè il palco degli eventi) sia il modo di organizzare gli eventi stessi erano espressioni del "pensiero" nazista.
Lo stadio, in questa ottica, è un simbolo importante da preservare. Il Dfb (Deutscher Fußball-Bund, la federazione calcistica della Germania) dedica ogni anno il Julius Hirsch Preis, un premio di 20mila euro a gruppi di tifosi attivi contro il razzismo e a favore della democrazia, dei diritti umani e della difesa delle minoranze. L'onorificenza è dedicata alla memoria di Julius Hirsch, un ex giocatore ebreo della nazionale tedesca morto ad Auschwitz. Inoltre, grazie a un gruppo di tifoserie particolarmente sensibili al tema che si auto-organizzano, sta girando la Germania "Luogo del delitto: lo stadio", una mostra itinerante contro il razzismo e il nazionalismo nel mondo del calcio.
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"Per capire il nazismo bisogna conoscere i suoi luoghi simboli, come lo stadio olimpico, non i campi di concentramento". La riflessione arriva dai ragazzi reggiani del Moro, dello Zanelli, del Pascal e del D'Arzo impegnati nel Viaggio della Memoria a Berlino, un'esperienza che continuano a raccontare sulle pagine della Gazzetta grazie alla redazione di viaggio.
Fra le varie mete, una delle più interessanti e suggestive è appunto lo stadio olimpico di Berlino. Un luogo che l'Italia ricorda bene e con enorme affetto, perché sede della finale dei Mondiali del 2006, quelli vinti dalla Nazionale azzurra ai rigori contro la Francia.
Lo stadio ha una storia molto più lunga e profonda. Viene edificato per ospitare le Olimpiadi del 1936, un evento che il regime hitleriano sceglie per presentarsi al mondo in grandissimo stile. Sono giochi da leggenda, con l'afro-americano Jesse Owens a dominare di fronte agli esponenti della "razza superiore" e l'enorme, indiscutibilmente suggestivo spiegamento di mezzi della coreografia nazista, impegnata ad accreditarsi in patria e non.
Nel complesso sportivo, completato dalle vecchie piscine olimpiche e da un'enorme area per i raduni, l'aria di quel periodo, e di un pensiero razionale e preciso, si respira con forza. "La nostra guida, Salvatore Trapani, ci ha parlato di come si è arrivati alle Olimpiadi. E di come Hitler, che all'inizio non le voleva, le ha usate. Voleva mostrare al mondo un popolo forte, con atleti pronti a diventare i primi soldati, e aveva scelto i luoghi dello sport per farlo", scrivono gli studenti.
"Lo stadio lo abbiamo visto tutti in televisione, ma così è un'altra cosa. Ci sono lunghi vialoni, tante statue che sembrano greche e invece raccontano dei popoli tedeschi, è impressionante". Già, perché nulla, in quello stadio, era pensato "a caso".
"Hitler aveva come bersaglio principale la Francia, la nazione che dopo la guerra mondiale aveva inflitto le sanzioni più pesanti alla Germania. Voleva rifarsi sulla Francia: non a caso, tutti i luoghi simbolo attorno allo stadio puntano in direzione della Francia, come a dire che il popolo tedesco era pronto a marciare verso di loro e a vendicarsi. E quando i nazisti hanno conquistato Parigi, Hitler ha voluto visitare il Louvre e poi ha dato ordine che la città non venisse toccata. Non per rispetto, ma perché voleva trasformare Berlino in una capitale molto più bella, e umiliare i francesi con il paragone fra i due luoghi".
Un'ossessione, quella per la cultura dominante: "Allo stadio abbiamo capito che il nazismo non era solo una massa di mostri che uccidevano nei campi, era molto di più ed è per quello che era molto pericoloso. E lo rimane anche oggi. Era una cultura che voleva dominare gli altri, convinta di essere superiore, e sapeva benissimo come comunicare bene all'esterno tutto questo, erano dei maestri della propaganda. Lo si sente sempre dire, la visita allo stadio te lo fa comprendere sul serio".