Ndrangheta, condannato a 26 anni il boss che minacciò Tizian
Processo Black Monkey, il tribunale di Bologna riconosce l'associazione mafiosa: pene pesanti per i 23 imputati. Il boss Nicola Femia venne intercettato durante una telefonata in cui si parlava di "sparare in bocca" al giornalista del Gruppo Espresso
BOLOGNA. Non solo un gruppo che guadagnava illecitamente con le slot e il gioco, ma un'associazione mafiosa radicata in Emilia-Romagna. Lo sancisce il primo grado del processo "Black Monkey": il tribunale di Bologna, accogliendo per buona parte l'impostazione della Procura, ha usato la mano pesante e condannato i 23 imputati. La pena più alta, 26 anni, al capo dell'organizzazione, il boss Nicola Femia, in carcere dall'arresto nel 2013 e presente a quasi tutte le udienze; non alla lettura della sentenza.
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C'era invece Giovanni Tizian, giornalista che con i suoi articoli per la Gazzetta di Modena _ testata del Gruppo Espresso di cui fa parte anche la Gazzetta di Reggio, per cui Tizian ha scritto diversi articoli _ fece arrabbiare Femia. A fine 2011, in una conversazione intercettata dalla Guardia di Finanza con un altro imputato, fece riferimento alla possibilità di chiudere la bocca al cronista, sparandogli.
Per Tizian, messo sotto tutela per le intimidazioni, i giudici hanno disposto un risarcimento da 100mila euro, 50mila al consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti.
Il fatto che il reato di associazione mafiosa sia stato riconosciuto «in Emilia-Romagna, in un territorio non tradizionale, è un grande passo in avanti», ha detto il giornalista, ora all'Espresso, uscendo dal tribunale.
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Risarcimenti che superano i centomila euro sono andati anche a varie parti civili, enti, associazioni, tra cui Libera, presente oggi in aula con il suo presidente, don Luigi Ciotti e alle udienze con una folta rappresentanza di giovani. La somma più significativa è andata alla Regione Emilia-Romagna, un milione di euro.
Condanne elevate sono state inflitte anche ai figli di Femia, Nicola Rocco Maria (15 anni) e Guendalina (10 anni e tre mesi) e al genero Giannalberto Campagna, 12 anni e due mesi. L'associazione 'ndranghetistica era contestata dal Pm Francesco Caleca a 14 imputati, considerando anche i concorrenti esterni: non per tutti è stata riconosciuta dai giudici, che ne hanno assolti cinque dal reato di associazione mafiosa.
Fino ad ora in questo procedimento, prima che esplodessero le indagini di Aemilia _il più importante per mafia in una regione poco abituata a processi di questo tipo di criminalità _ il reato più grave non aveva tenuto: gli imputati che avevano optato per l'abbreviato hanno visto confermare condanne dalla Cassazione, che però non ha riconosciuto l'associazione mafiosa, come in precedenza non fece il tribunale del Riesame.
Il Pm ha però insistito, soffermandosi nella sua requisitoria su un potere intimidatorio autonomo del gruppo, tipico a suo avviso delle "nuove" formazioni di 'ndrangheta, presenti nelle regioni del Nord.