Gazzetta di Reggio

Reggio

«I clan alzano il tiro contro i cronisti»

di GIOVANNI TIZIAN
«I clan alzano il tiro contro i cronisti»

Lo sfogo del giornalista minacciato di morte da Femia: «La sua condanna un monito per chi colpisce l’informazione»

24 febbraio 2017
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REGGIO EMILIA. A ottobre 2010, sulle pagine della Gazzetta di Modena, compare per la prima volta il nome di Nicola Femia. Era, scrivevamo nell’articolo, uno dei re delle slot in Emilia Romagna. Riforniva di macchinette mangiasoldi alcuni imprenditori del clan dei Casalesi, camorristi quindi. E anche altri personaggi della mafia calabrese che nel settore del gioco d’azzardo legale (autorizzato dallo Stato) avevano fatto fortuna.

Un anno dopo quell’articolo ne abbiamo pubblicato un altro. Sempre sugli affari del re delle slot, emigrato dalla Calabria per fondare un impero sulla via Emilia. Non potevamo immaginare la reazione. Eravamo sereni. In fondo avevamo fatto solo il nostro mestiere. Gli investigatori però proprio in quei giorni dopo la pubblicazione del secondo servizio ascoltano la telefonata tra Femia e il faccendiere Guido Torello. Quella in cui discutono delle inchieste pubblicate dalla Gazzetta di Modena a firma Tizian. E proprio Tizian è il giornalista a cui pensano di sparargli in bocca. Per fermarlo e chiudere la questione una volta per tutte.

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A quel punto sono scattate le misure di protezione. Chieste dall’allora procuratore Roberto Alfonso e dal pm Francesco Caleca. Da allora cambiò radicalmente la mia vita. E credo anche quella della redazione della Gazzetta. Insieme abbiamo condiviso paure, ma anche idee per reagire a quella intimidazione.

Sono trascorsi sette anni da quel primo articolo che ha decisamente cambiato il nostro quotidiano. Ne sono trascorsi quattro, invece, dagli arresti dell’operazione Black Monkey in cui Nicola Femia & Co sono finiti in carcere. Tre dall’inizio del processo contro quella che per la Procura Antimafia era una vera e propria organizzazione mafiosa.

Ed eccoci a due giorni fa. Il 22 febbraio. Il giorno della sentenza di primo grado. Il riconoscimento in sede giudiziaria dell’associazione mafiosa. Il risarcimento al giornalista che firma quest’articolo e all’Ordine dei giornalisti per l’intimidazione subita.

Il messaggio è rivoluzionario: non solo esiste un clan di ’ndrangheta in Emilia, autonomo e radicato, ma c’è qualcuno che ha provato ad alzare il tiro nei confronti dell’informazione. I giudici perciò stabiliscono un principio fondamentale per il futuro di questo Paese: chi tocca i cronisti e ciò che rappresentano, quindi anche la Costituzione, paga. Certo, è solo il primo grado. Ma è comunque un risultato che stravolge decenni di silenzi e omissioni nella lotta alla mafia in regione. E gran parte del merito va dato al procuratore Alfonso, che dal giorno del suo insediamento ha fatto capire che l’aria per i mafiosi era cambiata.

Ora c'è un nuovo procuratore, Giuseppe Amato. Siamo certi che proseguirà con la stessa determinazione, forte anche di un gruppo di magistrati che conoscono i segreti della mafia calabrese.

Una sentenza storica, dunque, perché accende un faro su complicità con il mondo delle professioni, con quello imprenditoriale, politico e istituzionale, che sono la vera forza dei clan. Il bacino da cui traggono linfa vitale. Un verdetto che servirà al territorio e agli inquirenti che stanno seguendo a Reggio Emilia il maxi processo Aemilia. Alla sbarra la ’ndrangheta emiliana, più di cento persone. I riverberi della sentenza Femia potrebbero raggiungere quest’aula. In fondo, già nel dibattimento contro Femia e sodali sono stati accertati i rapporti e l’amicizia tra questo gruppo criminale e uno dei padrini della ’ndrangheta emiliana. Persino affari comuni, tutto materiale agli atti di Black Monkey e di Aemilia. E chissà che non siano stati proprio questi elementi nuovi portati dal pm in udienza a convincere i giudici di Bologna sul fatto che il gruppo Femia non era solo una semplice associazione, ma un vero clan mafioso.

Per capire bisognerà attendere le motivazioni della sentenza. Intanto però è certo: cosca Femia e personaggi del clan Grande Aracri di Reggio Emilia dialogavano, progettavano, si incontravano. Certo, può darsi che si incontrassero a loro insaputa...

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