Gazzetta di Reggio

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Dato per morto, “resuscita” in udienza  

di Tiziano Soresina
Dato per morto, “resuscita” in udienza  

Il processo Aemilia a Reggio Emilia: artigiano ricattato, secondo il maresciallo dell’Arma dei carabinieri è deceduto. Poi la rivelazione dell’amico:  «L’ho visto 10 giorni fa a Bologna»

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REGGIO EMILIA. Il presunto ricattato dato per morto dai carabinieri “resuscita” a fine udienza e ieri – in tarda mattinata – il colpo di scena diventa un “giallo” grottesco che strappa persino le risate nell’aula-bunker di Aemilia dove solitamente annotiamo tensioni e cupe vicende.

A lasciare tutta l’aula a bocca aperta è l’ex imprenditore edile 49enne Domenico D’Urzo: originario di Vibo Valentia e giunto a Reggio nel ’96, dopo il fallimento della sua ditta ora lavora come geometra alla diga irachena di Mosul. In una sofferta testimonianza il 49enne sta in quel momento entrando nei dettagli di un’intricata storia di cui è al corrente e che avrebbe come vittima – secondo gli inquirenti è un’estorsione maturata in un contesto mafioso a cavallo fra il 2011 e il 2012 – una persona che lui conosce bene per motivi di lavoro, cioè l’artigiano edile cutrese 45enne Salvatore Soda.

Il maresciallo dei carabinieri Emilio Veroni (del nucleo investigativo di Modena) – che ha deposto in precedenza – rispondendo nel controesame a una domanda dell’avvocato Pasqualino Miraglia (difensore di Antonio Valerio che con altri tre è nei guai per questa estorsione) è praticamente lapidario: «Abbiamo sentito in gennaio D’Urzo, ma non Soda perché è deceduto». Una risposta sbrigativa, su cui nessuno batte ciglio, finché il giudice Francesco Caruso – presidente della Corte – nell’incalzare proprio D’Urzo ritorna sulla morte di Soda, dandola per scontata e vuole chiedere solo qualche ragguaglio in più. Invece...

«Morto? Ma se l’ho visto una decina di giorni fa in stazione a Bologna – dice, divertito, l’ex imprenditore edile – e gliel’ho detto subito che i carabinieri lo ritengono morto. Mi ha spiegato che non vive più a Reggio, si è separato dalla moglie e fa lavori da muratore in Sicilia». Fra la sorpresa generale si chiude così l’udienza e nella prossima “tappa” vedremo a cosa porteranno le verifiche degli inquirenti, perché a questo punto se Soda non è effettivamente morto ne verrà chiesta subito la testimonianza.

Il tiro, comunque, in udienza è stato corretto precedentemente anche nella ricostruzione dell’estorsione di cui vengono accusate tre figure considerate dalla Dda di primo piano nel clan Grande Aracri (Michele Bolognino, Antonio Valerio e Gaetano Blasco) oltre alla marocchina latitante Karima Baachaoui (ai tempi collaboratrice di Blasco). Colpo di spugna sulle botte subite da Soda («L’aggressione di Valerio non c’è stata» rimarca il maresciallo Veroni) e con una sudata serie di domande si arriva ad inquadrare pure le somme in gioco in questa vicenda. Soda ha un debito di 16mila euro con Blasco e Valerio per il noleggio di alcuni ponteggi in un cantiere di Grosseto, mentre lo stesso Soda vanta un credito di 23mila euro dall’imprenditore edile modenese Augusto Bianchini che però contesta i lavori fatti dagli operai albanesi, non vuole pagare e si rivolge a Bolognino a tutela dei propri interessi.

Secondo l’investigatore Soda non vedrà un soldo come del resto gli operai albanesi, mentre il duo Blasco-Valerio otterrà in pagamento un’Audi A6 (da Soda, del valore di 24mila euro) e un bonifico di 3.630 euro a fronte di una fattura per operazione inesistente da parte di Bianchini che in pratica avrà un bel “risparmio”. «Abbiamo ricostruito il tutto con le intercettazioni – ricapitola il maresciallo – da cui sono emerse minacce e pressioni psicologiche. Le parti che hanno guadagnato di più si sono dimostrate più forti e la vicenda s’inserisce in un contesto mafioso visti i precedenti della stretta cerchia di persone che hanno agito».