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Rosy Bindi: "La ’ndrangheta parla anche emiliano"

Enrico Lorenzo Tidona
Rosy Bindi: "La ’ndrangheta parla anche emiliano"

Intervista alla presidente della commissione parlmentare antimafia: « Dalla vostra regione le mafie risalgono verso il nord»

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REGGIO EMILIA  La mafia moderna è multiforme: parla calabrese ma anche emiliano, sale sempre più a nord per fuggire le inchieste e svuota lo Stato venendo a patti con il potere.

'NDRANGHETA A REGGIO EMILIA - Leggi lo speciale

Un’evoluzione tratteggiata a chiare lettere dalla presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi. Un’intervista concessa alla Gazzetta due anni dopo la simbolica riunione dell’organo di inchiesta avvenuta proprio a Reggio Emilia per testimoniare la vicinanza al nostro territorio dopo l’esplosione dell’inchiesta Aemilia.

Un’indagine a strascico tramutatasi ora nel più grande processo contro il radicamento della ’ndrangheta al nord, che viene ripreso dalla presidente all’indomani della Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che viene celebrata quest’oggi.

Un’occasione per riflettere sul processo di insediamento, perché «non è più solo infiltrazione», così come sulla sottovalutazione dell’avanzamento della criminalità organizzata che comporta danni e strascichi difficili da cancellare. Più difficili da debellare addirittura del terrorismo, perché aderenti alla realtà, anche quella locale.

Presidente Bindi partiamo purtroppo dall’attualità. Domenica anche lei era a Locri con don Ciotti e il presidente Mattarella per le celebrazioni della Giornata della Memoria. Oggi (ieri, ndr) è stata trovata una scritta contro Libera. Come risponde a questo attacco, a queste frasi contro don Ciotti, contro le forze dell’ordine e contro il vescovo?
«Prima di tutto esprimendo una grande solidarietà a don Luigi e a Libera, ai magistrati e a tutte le forze di polizia, che su versanti diversi combattono la mafia. E credo che dobbiamo esprimere solidarietà soprattutto nei confronti dei familiari delle vittime perché questa scritta offende la loro dignità».

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Un messaggio che giunge nei giorni del ricordo delle vittime di mafia.
«Questa contestualità è inquietante. Che la Locride sia una parte del paese che soffre di abbandono è innegabile. Ma per combattere le mafie bisogna stare con i magistrati e con i poliziotti e ci vogliono anche scuola e lavoro per tutti. Siamo tutti consapevoli che il radicamento delle mafie è anche legato a una questione meridionale mai risolta. Tuttavia in quella scritta c’è un atteggiamento giustificatorio delle mafie e della ‘ndrangheta, inaccettabile. Si deve chiedere un intervento più forte per la crescita e lo sviluppo, ma non si deve mai giustificare la presenza della violenza mafiosa, una delle cause insieme alla corruzione dilagante che sta frenando lo sviluppo del Paese».

C’è preoccupazione per quanto sta accadendo?
«Certamente, anche perché Libera e il vescovo di Locri, stanno facendo cose molto importanti, con una resistenza vera alla cultura mafiosa. Come diceva ieri il presidente della Repubblica, c’è una zona grigia, abitata non da affiliati alle mafie ma da coloro che pensano di poterci convivere e che magari si oppongono allo Stato e non alle mafie. Che considerano responsabili dei loro problemi le istituzioni e non le mafie. Questo atteggiamento nella Locride si è manifestato ieri con quella scritta. Nel resto del paese lo stesso atteggiamento si esprime tenendo rapporti di fatto collaborativi con le mafie. Accettando in qualche modo il loro denaro, andandole a cercare, negando che le mafie ci sono, ritenendo che si possa crescere o salvare la propria impresa o fare affari con le imprese mafiose. Questo oggi sta diventando il problema più grave. L’idea che in fondo con le mafie si può convivere».

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Viste le scarse risorse lo Stato rischia di combattere con armi spuntate?
«Noi abbiamo una legislazione antimafia e strumenti giudiziari efficaci, unici al mondo e i risultati si sono visti e si vedono. Bisogna affinare alcuni strumenti soprattutto per quanto riguarda la lotta alla corruzione e per quanto riguarda la straordinaria capacità che hanno le mafie di riciclare il denaro sporco in attività legali».

E’ giusto l’ulteriore richiamo di questi giorni da parte di don Ciotti alla politica?
«Certamente. Questa lotta richiede, oltre l’impegno del legislatore e del magistrato, che ci sia anche la schiena dritta da parte della politica, della pubblica amministrazione, dei professionisti, delle banche, degli imprenditori e dei semplici cittadini. Nessuno di noi ha un supplente nella lotta alla mafia, non possiamo farci sostituire né dai magistrati, né dalle forze dell’ordine e neppure da Libera. La capacità di penetrazione che hanno avuto le mafie al nord Italia è legata anche a questo. Prima si nega che ci siano, poi si è indifferenti, fino a quando non si diventa complici».

L’impressione è anche qui da noi c’è stato questo trascorso e ora ci si rende conto che le questioni sul tavolo ci sono.
«Nell’inchiesta Aemilia, ascoltando le intercettazioni, si parla calabrese ma si parla anche emiliano».

È giusta la convinzione, viste le nuove inchieste, che la ‘ndrangheta si stia espandendo sempre più verso il nord?
«Si è diffusa anche perché tutti gli sforzi erano concentrati nella repressione a Cosa Nostra. La mafia delle stragi è stata sconfitta. Ma questo ha consentito alla ‘ndrangheta di lucrare in una sorta di cono d’ombra, di silenzio. Conservando sempre la casa madre in Calabria, hanno avuto la possibilità di insediarsi. Perché ormai non si può parlare solo di infiltrazione ma di insediamento. Soprattutto, ripeto, riciclando il denaro sporco delle attività illegali, a cominciare dalla droga, in attività legali. La crisi economia poi ha fatto il resto: erano gli unici che avevano i soldi».

Si parla sempre di infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Ma non c’è anche uno spazio sconfinato negli affari tra privati?
«Aemilia è un caso nel quale la politica e la pubblica amministrazione centrava davvero poco. È soprattutto un caso di corruzione mafiosa tra privati».

Il 23 marzo si celebrano due anni del processo Aemilia. Ormai è certo che il radicamento al nord sia nato anche a causa dei soggiorni obbligati e il problema è che al nord rimangono i pregiudicati mentre al sud resta la disoccupazione. Non c’è una soluzione?
«I mafiosi sono i predatori del sud per investire al nord. Senza risolvere la questione meridionale si agevolano le mafie».

A Reggio Emilia c’è un tratto antropologico rilevante: molti migranti dalla Calabria sono giunti qui, molti nel bene, alcuni nel male. Giù è rimasta la povertà e il ricatto.
«E' evidente, i criminali non hanno investito al sud ma nelle regioni più ricche e sviluppate d’Italia».

Siamo anche nella provincia in cui è stato sciolto il comune di Brescello. L’idea è che lo stato abbiamo voluto tirare una linea di demarcazione, mettendo in chiaro che non c’è spazio per aderenze tra amministrazioni con criminali e mafiosi.
«Il caso di Brescello è esattamente frutto della sottovalutazione, della non conoscenza e della negazione del fenomeno. Bastava ascoltare le interviste fatte ad alcuni abitanti di Brescello: per questi il problema sono gli immigrati, non è Grande Aracri. “Lui dà lavoro” dicevano».

L’attenzione dei magistrati e le inchieste in Emilia stanno spingendo verso il Veneto le mafie del nord?
«Il radicamento in Emilia è passato attraverso Mantova, poi Verona, quindi è chiaro che non hanno confini. E’ evidente che l’errore di sottovalutare per tanti anni questo fenomeno nel nord Italia ora lo stanno facendo in Germania, Spagna, Olanda, in Francia».

È possibile sconfiggere la mafia?
«Sì. Ma oggi è più difficile. La forza della criminalità organizzata sta nel consenso che ancora raccoglie, come dimostra la scritta sul muro dell’arcivescovado di Locri, e anche nella capacità di stabilire rapporti e complicità con il potere, sia politico che economico. E’ una criminalità più difficile da sconfiggere del terrorismo, che ha un progetto politico e per questo combatte lo Stato. Le mafie invece non hanno interesse a sovvertire lo Stato ma preferiscono stabilire relazioni. Lo svuotano dall’interno, e quindi in questo senso sono più pericolose e più difficili da combattere. Ma, ripeto, se ascoltiamo le parole del presidente della Repubblica e ciascuno di noi fa la sua parte, ci riusciremo».