Gazzetta di Reggio

Reggio

«Un parte di Reggio stava con la mafia» 

di Jacopo Della Porta
«Un parte di Reggio stava con la mafia» 

Antonella De Miro sulla famigerata cena agli “Antichi Sapori”: «Nauseata» E sulle collusioni: «Mi sembrava di essere tornata nella Sicilia di 40 anni fa»

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REGGIO EMILIA. «Sulla vicenda della cena mi ha preso una sorta di nausea, per me siciliana mi sembrava di essere tornata indietro di 40 anni, quando mai in Sicilia un politico se ne sarebbe andato a cena con un capo mafia, pubblicamente, in un locale pubblico?». Parole pesanti, pronunciate dalla donna che ha impresso una svolta alla lotta alla mafia in provincia di Reggio. Parole che esprimono come il prefetto Antonella De Miro ha percepito l’offensiva scatenata contro di lei da vari settori della società reggiana. L’abbiamo conosciuta per i suoi atti, in particolare le interdittive antimafia e i divieti di detenere armi con i quali ha messo il dito nella zona grigia delle collusioni con la malavita. Ma ieri, durante la sua testimonianza al processo Aemilia, è emerso anche il vissuto personale dell’inflessibile servitrice dello Stato.
LO SCONFORTO. Il pm Marco Mescolini ha ricordato le parole usate dal prefetto davanti alla Dda per commentare, nel maggio 2015, dopo l’operazione Aemilia, la famigerata cena agli “Antichi sapori” del marzo 2012. «Io in Sicilia non l’ho mai vista una cosa del genere, mi ha preso davvero la nausea - disse allora - mi sono sentita sconfortata, per me una cosa inimmaginabile, posso capire in una masseria nascosta, ma non in un ristorante pubblico».
In aula il prefetto, ora a Palermo, ha spiegato il perché di quelle dichiarazioni rese quasi due anni fa. «Io in questa città avevo la funzione di prefetto e dunque di rappresentante dello Stato. Il mio compito era quello di garantire la sicurezza, anche dell’economia legale. Ho amato questo territorio fin dall’inizio, l’ho molto rispettato, ritenevo che esercitando la mia funzione potessi difenderlo dalle infiltrazioni. Pensare che un politico, pezzi della società reggiana, del mondo delle professioni, avvocati, giornalisti, una giornalista che aveva frequentato la prefettura amabilmente, potessero stare con chi ritenevo essere l’anti-Stato mi ha sorpresa e amareggiata».
«2012 ANNUS ORRIBILIS». La permanenza a Reggio del prefetto non è stata di certo tutta rose e fiori. In una riunione il procuratore Giorgio Grandinetti le disse che era la persona più a rischio in città. «Il 2012 fu il mio annus horribilis», ha detto la dirigente facendo riferimento all’offensiva contro di lei. «Venivo da Benevento e non mi era mai capitato di leggere ampie interviste a persone colpite da interdittive antimafia. A Reggio andavano sui giornali a dire che erano colpiti ingiustamente, per me era una novità».
Il prefetto ha ricordato la partecipazione di Gianluigi Sarcone a “Poke Balle”. «Nella trasmissione televisiva si dava voce a un soggetto pregiudicato, fratello di un imputato per fatti di mafia».
Nella sua deposizione la dirigente ha raccontato dell’attivismo di soggetti legati alla cosca, che rilasciavano interviste anche a Rai Uno e a La 7, lanciando accuse alla prefettura, alle cooperative e al presidente della Camera di Commercio Enrico Bini. «Dichiarazioni che mi turbarono», racconta la De Miro.
INTIMIDAZIONI. Il prefetto ha poi ricordato la lettera con un proiettile giunta in corso Garibaldi a marzo 2012, lo stesso giorno nel quale era a Roma per parlare di lotta alla mafia, ed altri fatti «inquietanti». La dirigente ha inoltre raccontato un episodio avvenuto nel 2011. «Ricevevo lettere da titolari o congiunti di titolari che erano stati raggiunti da interdittive, lettere nelle quali ero invitata a trovare una soluzione: corrispondenza da me trasmessa alla procura. Una lettera era velatamente intimidatoria». Il riferimento è a una missiva inviata dall’imprenditore di Boretto Bacchi e da un suo congiunto dopo che vennero bloccati i lavori della tangenziale di Novellara, dove operavano in subappalto ditte legate ai Grande Aracri. «Nell’aprile 2011 feci un’interdittiva antimafia nei confronti della Bacchi, che poi il Tar bocciò. Invece di fare ricorso al Consiglio di Stato adottai nell’agosto 2011 un altro provvedimento, che teneva conto delle linee indicative del Tar. Si trattava di un documento di 89 pagine, circostanziato, accolto fino in Consiglio di Stato. Dalla ditta mi venne rimproverato di non aver fatto ricorso ma aver adottato una nuova interdittiva. Trasmisi la lettera alla procura». La Bacchi, è stato ricordato, dal 2015 ha riottenuto la “patente antimafia” e gli effetti dell’interdittiva sono decaduti.