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Aemilia, nuova inchiesta: la Dda indaga sul senatore Giovanardi  

Aemilia, nuova inchiesta: la Dda indaga sul senatore Giovanardi  

Reggio Emilia: il parlamentare modenese avrebbe fatto pressioni sulle istituzioni per agevolare la Bianchini, sospettata di complicità con il clan 

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REGGIO EMILIA. Un avviso di garanzia è stato notificato al senatore di centrodestra Carlo Giovanardi, indagato dalla Direzione antimafia di Bologna per concorso con pubblici funzionari e imprenditori locali per rivelazioni di segreti d'ufficio e violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Per Giovanardi è stato proposto anche l’articolo 7 della legge 203/1991, ossia l’aggravante del metodo mafioso. A svelarlo è stato ieri un servizio pubblicato sulla edizione on line del settimanale l’Espresso.

L’avviso di garanzia è espressione della massima tutela verso l’indagato, che in qualità di senatore della Repubblica ha anche maggiori tutele proprio perché rappresentante delle Istituzioni. Nei prossimi giorni, infatti, ci sarà un’udienza davanti al gip per decidere se le intercettazioni telefoniche e i tabulati agli atti dei carabinieri di Modena, che hanno seguito tutte le indagini dell’inchiesta Aemilia, possano essere utilizzati. L’atto, notificato nei giorni scorsi al senatore, si inserisce nel terzo filone dell’inchiesta Aemilia, quella che riguarda la Prefettura di Modena e il metodo di iscrizione alla white list post sisma.

Giovanardi è stato tra i principali oppositori delle white list nella convinzione che avrebbero annientato le aziende del territorio, l’occupazione e l’indotto, sostenendo invece l’introduzione di un commissario che potesse garantire continuità alle aziende interdette per vicinanza, possibili condizionamenti mafiosi o addirittura infiltrate. Ma per sostenere la battaglia della Bianchini Costruzioni prima, e della Ios poi il senatore, secondo i pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, è andato troppo oltre.

Perché Giovanardi, come dimostrerebbe uno dei video ripresi da Alessandro Bianchini durante una riunione con il senatore, aveva avuto contezza dei rapporti tra gli imprenditori sanfeliciani e la ‘ndrangheta quando viene informato del fatto che c’era un giro di fatture false con Giuseppe Giglio, il primo pentito dell’inchiesta.

«Guardate – dice il senatore relativamente alla strategia da adottare con la Prefettura e le forze dell’ordine – che se siete candidi come agnellini potete stare tranquilli, ma se uno ha solo una pulce, andando a fare uno scontro frontale poi la pulce salta fuori».

I Bianchini allora “confessano” e da quel momento Giovanardi dovrebbe prendere le distanze, ma non lo fa. Anzi, continua nel pressing su Prefettura, capo di Gabinetto (Mario Ventura, anche lui raggiunto da un avviso di garanzia), questore, comandante della Finanza e dei carabinieri, responsabile del Girer (Gruppo interforze ricostruzione Emilia Romagna) fino alle più alte cariche romane, compreso il prefetto Bruno Frattasi, a quei tempi direttore dell’Ufficio legislativo e Relazioni parlamentari. Tutto, pensano i pm antimafia, con il solo intento di agevolare la Bianchini Costruzioni e la Ios del figlio Alessandro (indagato alla pari del padre), così come già fatto in precedenza e per altre aziende del territorio con metodi che arrivavano a scomodare alti gradi delle istituzioni e a ipotizzare trasferimenti date le sue entrature al ministero degli Interni.

E in Prefettura, secondo il teorema della Dda e dei carabinieri di Modena, c’era chi aiutava Giovanardi in questa strategia, passando informazioni riservate, quelle poi riprese anche da Alessandro Bianchini nell’ormai famoso video con il doganiere Giuseppe De Stavola. Interpellato dall’Ansa sull’indagine, nel tardo pomeriggio di ieri, il senatore Carlo Giovanardi ha respinto ogni accusa: «Non ho mai avuto contatti diretti o indiretti con esponenti della 'ndrangheta. Sono solo intervenuto per le imprese modenesi, salvandole». E Giovanardi finisce subito nel mirino del M5s. «Il paradosso è che Giovanardi è indagato dall'Antimafia, ma è proprio membro della commissione antimafia al Senato – scrive su Facebook il grillino modenese Michele Dell'Orco – e in attesa che la magistratura faccia il suo corso, penso che se ne debba andare dalla commissione parlamentare».