Il pentito: Bolognino uomo di Nicolino 

di Ambra Prati
Il pentito: Bolognino uomo di Nicolino 

Nicola Femia riconosce due volte l’imputato di Aemilia, che lo avrebbe truffato. Tanti omissis, innescate altre indagini

05 maggio 2017
3 MINUTI DI LETTURA





REGGIO. Ha riconosciuto Michele Bolognino nella foto segnaletica per ben due volte, lamentandosi di essere stato gabbato da lui. Ma ha anche parlato, nel 1978 durante una cena sulle colline torinesi, di quando il suo capo, Vincenzo Mazzaferro, gli presentò un uomo, un certo Tommaso Buscetta.
Il primo verbale dell’interrogatorio del boss Nicola Femia detto “Rocco”, 56 anni – già depositato nel maxiprocesso Aemilia e pubblicato in anteprima da Antonio Anastasi su “Il Quotidiano del Sud” – dimostra che l’ultimo collaboratore di giustizia di ’ndrangheta ha parecchio da dire anche sugli affari emiliani e sui rapporti con gli altri clan degli uomini di Grande Aracri. Nel suo racconto, Femia parla di Michele Bolognino, imputato a Reggio nel processo Aemilia, unico a restare in dibattimento a differenza delle altre figure apicali della cosca che hanno preferito l’abbreviato a Bologna.
Il primo riassunto dell’interrogatorio (che rinvia alla registrazione integrale) si è svolto il 7 aprile scorso nel carcere di Rebibbia alla presenza dei pm della Dda Francesco Caleca, Marco Mescolini e Beatrice Ronchi: un documento zeppo di omissis e di parti stralciate, il che fa presagire importanti sviluppi investigativi. Femia racconta di aver conosciuto Bolognino nel 2011, tramite Stefano Marzano, titolare di un noleggio di auto di lusso, per lavori edili poi non andati in porto; all’epoca Bolognino ha detto a Femia di essere stato affiliato alla consorteria Megna, ma negli ultimi tempi di essere parte, con un ruolo di vertice, del sodalizio ’ndranghetistico emiliano legato al boss di Cutro.
Un giorno Femia e Marzano si sono recati in provincia di Reggio nel ristorante di Bolognino, un posto grande, con sala matrimoni e con ampio giardino: secondo Bolognino, il socio era Nicolino Grande Aracri. All’epoca Femia aveva un ristorante a Punta Marina Terme (Ravenna) e lo ha offerto a Bolognino; vi è stata una cena a Desenzano sul Garda con Bolognino e il socio Giulio Giglio (fratello del pentito Giuseppe), cessione poi avvenuta.
Se questa prima compravendita procede liscia, mentre Femia è detenuto viene a sapere dalla sua ragazza che Bolognino le aveva fatto visita promettendole 30mila euro in cambio di una firma.
La donna ha firmato, ma Bolognino non ha versato alcuna somma; anzi, Bolognino ha portato via dal ristorante l’arredamento, per 27mila euro. In seguito, nel carcere di Parma, Giulio Giglio racconta al pentito di aver dato a Bolognino 20mila euro per l’affare di Punta Marina Terme, ma Bolognino se li era intascati, truffando anche Giglio.
In altra occasione, per un terreno nelle Cinque Terre (Liguria), Femia ha consegnato a Bolognino come caparra 15mila euro, denaro mai restituito nonostante la trattativa sfumata.
Da notare che Femia identifica Bolognino, così come Giuseppe Richichi e Giulio Giglio (Giuseppe non l’ha mai visto). Afferma di aver conosciuto due fratelli di Crotone: li chiama Feltrinelli, ma non esclude che possa trattarsi, per assonanza, dei Vertinelli. Mentre non gli dicono nulla i nomi di Alfonso Diletto, Nicolino Sarcone, Antonio Valerio, Gaetano Blasco.
©RIPRODUZIONE RISERVATA