Aemilia, stretta sulle foto agli imputati
di Enrico Lorenzo Tidona
Ancora rimostranze in udienza per le immagini riprese con telecamere e telefonini. Il giudice fa intervenire i carabinieri
07 giugno 2017
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REGGIO EMILIA. «Quello sta facendo le foto!». Un urlo ha squarciato la calma ieri nelle prime battute dell’udienza del processo Aemilia. Una frase pronunciata da uno degli imputati a piede libero che indicava un uomo tra il pubblico del processo contro le infiltrazioni della ’ndrangheta in Emilia. L’accusa verbale lanciata dalle retrovie dell’aula speciale ha fatto subito interrompere i lavori perché dalle gabbie di sicurezza dalle quali gli imputati detenuti partecipano al processo, si sono levate subito altre voci di protesta.
Un episodio già visto in precedenza, che torna d’attualità. Gli imputati, in via generale, non hanno dato il loro consenso ad essere ripresi in aula durante il processo. Lo hanno dichiarato durante la seconda udienza di Aemilia su apposita domanda posta dal presidente della Corte, Francesco Caruso.
Diversi testi sentiti in aula, man mano che le udienze proseguivano, hanno di volta in volta concesso o meno il loro assenso. Ieri, però, dopo la “denuncia” a voce, è scattata la stretta da parte di Caruso, che ha subito chiesto l’intervento dei carabinieri presenti in aula.
I militari hanno preso il telefonino dello spettatore che ha subito dichiarato alla Corte di non sapere della restrizione e di non aver fotografato gli imputati. La foto, comunque, è stata subito cancellata dal proprietario del telefonino davanti ai carabinieri. Il giudice ne ha chiesto il riconoscimento dando poi la parola a Pasquale Riillo, detenuto che ha chiesto di parlare dal microfono dentro le gabbie di sicurezza allestite in aula. Riillo ha detto di aver visto in tivù un servizio che parlava di lui e che lo inquadrava. Un fatto sul quale Caruso ha affermato: «Sulle immagini dovrò verificare - ha detto il giudice - ma è necessario tenere sotto controllo le cineprese. In generale detto questa regola: serve la massima cura da parte delle forze dell’ordine per far rispettare questa ordinanza. Imputati e testimoni non devono essere ripresi. E chiedo il controllo costante di chi utilizza i mezzi di ripresa».
Un’ordinanza emessa ieri per placare le tante voci che si sono sollevate in aula, con la quale Caruso ha chiesto ai carabinieri che sono in servizio nel grande capannone un controllo costante anche del pubblico presente sui banchi per venire incontro alle istanze degli imputati. La polemica sollevata ieri è solo l’ultima in ordine di tempo che riguarda la cornice del processo più che i fatti contestati in se. Di fatto il processo coinvolge decine di persone ogni giorno tra avvocati, imputati, pubblico e addetti ai lavori. Un microcosmo complesso da gestire e che vede la Corte fare da paciere ta le varie anime presenti.
Un episodio già visto in precedenza, che torna d’attualità. Gli imputati, in via generale, non hanno dato il loro consenso ad essere ripresi in aula durante il processo. Lo hanno dichiarato durante la seconda udienza di Aemilia su apposita domanda posta dal presidente della Corte, Francesco Caruso.
Diversi testi sentiti in aula, man mano che le udienze proseguivano, hanno di volta in volta concesso o meno il loro assenso. Ieri, però, dopo la “denuncia” a voce, è scattata la stretta da parte di Caruso, che ha subito chiesto l’intervento dei carabinieri presenti in aula.
I militari hanno preso il telefonino dello spettatore che ha subito dichiarato alla Corte di non sapere della restrizione e di non aver fotografato gli imputati. La foto, comunque, è stata subito cancellata dal proprietario del telefonino davanti ai carabinieri. Il giudice ne ha chiesto il riconoscimento dando poi la parola a Pasquale Riillo, detenuto che ha chiesto di parlare dal microfono dentro le gabbie di sicurezza allestite in aula. Riillo ha detto di aver visto in tivù un servizio che parlava di lui e che lo inquadrava. Un fatto sul quale Caruso ha affermato: «Sulle immagini dovrò verificare - ha detto il giudice - ma è necessario tenere sotto controllo le cineprese. In generale detto questa regola: serve la massima cura da parte delle forze dell’ordine per far rispettare questa ordinanza. Imputati e testimoni non devono essere ripresi. E chiedo il controllo costante di chi utilizza i mezzi di ripresa».
Un’ordinanza emessa ieri per placare le tante voci che si sono sollevate in aula, con la quale Caruso ha chiesto ai carabinieri che sono in servizio nel grande capannone un controllo costante anche del pubblico presente sui banchi per venire incontro alle istanze degli imputati. La polemica sollevata ieri è solo l’ultima in ordine di tempo che riguarda la cornice del processo più che i fatti contestati in se. Di fatto il processo coinvolge decine di persone ogni giorno tra avvocati, imputati, pubblico e addetti ai lavori. Un microcosmo complesso da gestire e che vede la Corte fare da paciere ta le varie anime presenti.