I detenuti di Aemilia “scioperano”
Gli imputati hanno espresso il loro consenso all’astensione degli avvocati
REGGIO EMILIA. Il presidente del tribunale Francesco Caruso voleva un consenso espresso formalmente. Se l’udienza non deve essere celebrata, perché le toghe sono in sciopero, gli imputati sottoposti a misure restrittive devono dare il loro consenso in aula.
E così ieri mattina il presidente ha chiesto a tre detenuti collegati in videoconferenza se erano d’accordo sull’astensione dei loro difensori. Michele Bolognino, Antonio Floro Vito e Mario Ursini, hanno risposto alla domanda del giudice, confermando che rinunciavano all’udienza.
Gli altri detenuti non si sono invece presentati in aula, ma hanno espresso formalmente ai loro legali il consenso ad astenersi. Il presidente aveva infatti un foglio davanti a sè che lo confermava.
L’“appello” che si è tenuto ieri mattina al processo Aemilia rappresenta soltanto l’ultima tappa di un braccio di ferro in corso tra la corte e i penalisti.
Come scritto in precedenza i giudici hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla norma che consente agli avvocati di astenersi dalle udienze durante uno sciopero quando i detenuti sono d’accordo. Da questa decisione è scaturita una polemica con le Camere penali, che ritengono che la corte dovrebbe sospendere il processo in attesa del pronunciamento della Consulta.
Ma il collegio giudicante ha emesso un’ordinanza con la quale ha stabilito che il processo può continuare, dato che quella sollevata è una questione incidentale. Per tutta risposta le toghe hanno presentato un ricorso in Cassazione contestando la legittimità di questa ordinanza.
Il “codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati” prevede che il difensore debba assicurare la propria prestazione professionale «nel caso l’imputato detenuto chieda espressamente che si proceda malgrado l'astensione del difensore». Gli imputati di Aemilia sono invece compatti nel sostenere le ragioni dei loro difensori.