«Rapporti chiusi con mio fratello Nicolino»
di Tiziano Soresina
Gianluigi Sarcone prende le distanze: «Da lui solo guai, non sono un ndranghetista, non conosco la famiglia Grande Aracri»
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REGGIO EMILIA. Per gli inquirenti di Aemilia il 46enne Gianluigi Sarcone ha un ruolo non indifferente nella cosca, una vera e propria “mente economica” strettamente legata al fratello maggiore Nicolino (condannato in primo grado a Bologna a 15 anni di reclusione) che per la Dda è uomo di potere all’interno del clan emiliano con epicentro a Reggio.
Ma come ha fatto fin dal primo giorno dell’arresto – con articolate memorie difensive e interrogatori – Gianluigi ha ieri preso decisamente le distanze dal 52enne Nicolino, arrivando più volte ad una commozione che sfiora il pianto rabbioso mentre elenca le manchevolezze del fratello: lavoratore non impeccabile, con amicizie che non gli sono mai piaciute, insomma un familiare che l’ha più volte danneggiato, anzi lo ritiene la causa di tutti i suoi guai giudiziari. Una testimonianza puntigliosissima e determinata, che il 46enne affronta sia con due borsoni pieni di documenti, sia con l’aiuto del computer portatile in cui va a cercare le trascrizioni delle intercettazioni che porta come prova di quello che sta dicendo. E davanti alla Corte l’inizio di Gianluigi – spinto dalle domande degli avvocati difensori bolognesi Stella Pancari e Stefano Vezzadini – è di quelli fulminanti: «Non conosco le famiglie Arena, Dragone e Grande Aracri. Non ho fatto parte dei gruppi ndranghetisti Dragone e poi Grande Aracri». Quest’ultima sottolineatura intende smentire quanto sostiene, invece, il pentito Angelo Salvatore Cortese.
Poi racconta del suo arrivo a Reggio da Cutro sul finire del 1988, si sofferma sui problemi con la giustizia (spaccio di droga e un tentato omicidio) che ebbe in quegli anni, sino al Duemila quando arriverà il fine-pena. Gianluigi spiega, con dovizia di particolari, come una volta uscito di cella dia anima e corpo per affermarsi a Reggio come imprenditore: «Con due fratelli fondai la società Essetre, lavorando nel mondo dell’edilizia come prestatore di manodopera. Avevo l’ufficio in camera da letto». È la narrazione di un’ascesa (le società diventeranno tre nel 2005) ma anche di guai legati all’inchiesta Edilpiovra: «Quell’indagine non mi ha nemmeno sfiorato – rimarca con orgoglio – mentre Nicolino è finito dentro per Edilpiovra (è stato condannato in via definitiva a 10 anni di reclusione, ndr) e mi sono arrabbiato con lui perché quel suo coinvolgimento mi causò problemi con le banche. Non l’andai mai a trovare in cella, ero infuriato». La rottura col fratello si sanerà solo più avanti e di Nicolino ne parla – con distacco – come di un suo dipendente (nel contesto della società Sarcia come autista di camion con gru), a cui diede anche fiducia («Si impegnava e non volevo che dipendesse tutta una vita da me») inserendolo nella società Ambiente Design che vendeva piastrelle ed arredi da bagno. Ma con la crisi economica i due fratelli – a detta sempre di Gianluigi – giungono nuovamente ai ferri corti. «Nicolino aveva amicizie che lo distoglievano dal lavoro e gli avevano ubriacato la testa, si era persino intascato un assegno da seimila euro e io non l’ho più stipendiato. Da quel momento l’ho solo intravisto in caserma a Bibbiano nel 2014 quando subimmo il sequestro patrimoniale. Avevo chiuso i rapporti con lui, tutti i numeri intercettati a lui e a me lo dimostrano».
Ma come ha fatto fin dal primo giorno dell’arresto – con articolate memorie difensive e interrogatori – Gianluigi ha ieri preso decisamente le distanze dal 52enne Nicolino, arrivando più volte ad una commozione che sfiora il pianto rabbioso mentre elenca le manchevolezze del fratello: lavoratore non impeccabile, con amicizie che non gli sono mai piaciute, insomma un familiare che l’ha più volte danneggiato, anzi lo ritiene la causa di tutti i suoi guai giudiziari. Una testimonianza puntigliosissima e determinata, che il 46enne affronta sia con due borsoni pieni di documenti, sia con l’aiuto del computer portatile in cui va a cercare le trascrizioni delle intercettazioni che porta come prova di quello che sta dicendo. E davanti alla Corte l’inizio di Gianluigi – spinto dalle domande degli avvocati difensori bolognesi Stella Pancari e Stefano Vezzadini – è di quelli fulminanti: «Non conosco le famiglie Arena, Dragone e Grande Aracri. Non ho fatto parte dei gruppi ndranghetisti Dragone e poi Grande Aracri». Quest’ultima sottolineatura intende smentire quanto sostiene, invece, il pentito Angelo Salvatore Cortese.
Poi racconta del suo arrivo a Reggio da Cutro sul finire del 1988, si sofferma sui problemi con la giustizia (spaccio di droga e un tentato omicidio) che ebbe in quegli anni, sino al Duemila quando arriverà il fine-pena. Gianluigi spiega, con dovizia di particolari, come una volta uscito di cella dia anima e corpo per affermarsi a Reggio come imprenditore: «Con due fratelli fondai la società Essetre, lavorando nel mondo dell’edilizia come prestatore di manodopera. Avevo l’ufficio in camera da letto». È la narrazione di un’ascesa (le società diventeranno tre nel 2005) ma anche di guai legati all’inchiesta Edilpiovra: «Quell’indagine non mi ha nemmeno sfiorato – rimarca con orgoglio – mentre Nicolino è finito dentro per Edilpiovra (è stato condannato in via definitiva a 10 anni di reclusione, ndr) e mi sono arrabbiato con lui perché quel suo coinvolgimento mi causò problemi con le banche. Non l’andai mai a trovare in cella, ero infuriato». La rottura col fratello si sanerà solo più avanti e di Nicolino ne parla – con distacco – come di un suo dipendente (nel contesto della società Sarcia come autista di camion con gru), a cui diede anche fiducia («Si impegnava e non volevo che dipendesse tutta una vita da me») inserendolo nella società Ambiente Design che vendeva piastrelle ed arredi da bagno. Ma con la crisi economica i due fratelli – a detta sempre di Gianluigi – giungono nuovamente ai ferri corti. «Nicolino aveva amicizie che lo distoglievano dal lavoro e gli avevano ubriacato la testa, si era persino intascato un assegno da seimila euro e io non l’ho più stipendiato. Da quel momento l’ho solo intravisto in caserma a Bibbiano nel 2014 quando subimmo il sequestro patrimoniale. Avevo chiuso i rapporti con lui, tutti i numeri intercettati a lui e a me lo dimostrano».