Reggio Emilia, dalle parole di Richichi partiti nuovi accertamenti sulla 'Ndrangheta
Il 37enne è in carcere: sentito due volte in poco tempo dai magistrati antimafia I verbali degli interrogatori agli atti di Aemilia, ma molte parti sono secretate
REGGIO EMILIA. Non è un collaboratore di giustizia, ma le parole di Giuseppe Richichi – 37enne d’origine crotonese ma che ha vissuto a Montecchio sino a che non è stato arrestato nell’ambito della maxi operazione Aemilia – sono tenute in debita considerazione dalla Dda di Bologna. Affermazioni talmente interessanti che da quanto “filtra” hanno fatto scattare nuovi accertamenti.
Non è chiaro se Richichi (è in carcere e in primo grado è stato condannato a 10 anni) abbia chiesto di essere interrogato dai pm antimafia, oppure se siano stati i magistrati della Dda a tenerlo sotto tiro. Comunque sia, è stato sentito due volte (nell’ottobre scorso e poco più di tre mesi fa) riempiendo altrettanti verbali. Si tratta di verbali pieni di omissis (il che indica come degli spunti investigativi siano effettivamente scaturiti da questi interrogatori) depositati dall’accusa nei giorni scorsi agli atti del maxi processo Aemilia, come del resto anche il verbale dell’interrogatorio (si è svolto il 7 aprile scorso nel carcere di Rebibbia) del boss Nicola Femia che al momento è l’ultimo pentito di ’ndrangheta. Un modus operandi dei pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi già constatato in aula con il pentito Giuseppe Giglio, il che fa pensare ad una successiva richiesta di esame testimoniale sia di Femia che di Richichi. Per entrambi c’è un unico comun denominatore, cioè la conoscenza di Michele Bolognino (imputato a Reggio, unico a restare in dibattimento a differenza delle altre figure apicali della cosca che hanno preferito il rito abbreviato a Bologna). Richichi viene considerato dalla Dda un “partecipe” della cosca emiliano con epicentro a Reggio.
Gli inquirenti lo inquadrano come una persona «a totale disposizione di Michele Bolognino (per il quale svolge di norma anche la funzione di autista e di uomo di fiducia), ma costantemente in contatto con gli altri associati, occupanti anche posizioni apicali (come nel caso di Alfonso Diletto), essendo ciò espressivo della consapevole e volontaria partecipazione del medesimo all’associazione di stampo mafioso, della osservanza delle sue gerarchie e regole, della fedeltà alle direttive ricevute, del perseguimento dell’interesse dell’organizzazione, partecipando alle riunioni del sodalizio».
Mentre il pentito Femia ha detto – nell’interrogatorio – di aver conosciuto Bolognino nel 2011, tramite Stefano Marzano, titolare di un noleggio di auto di lusso, per lavori edili poi non andati in porto. All’epoca Bolognino avrebbe detto a Femia di essere stato affiliato alla consorteria Megna, ma negli ultimi tempi di essere parte, con un ruolo di vertice, del sodalizio ’ndranghetistico emiliano legato al boss di Cutro.