Caruso attacca Gallo sulla ’ndrangheta 

Caruso attacca Gallo sulla ’ndrangheta 

Il presidente sbotta al termine della deposizione dell’ex questore: «Ha totale ignoranza sul fenomeno criminale»

07 luglio 2017
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REGGIO EMILIA. Voce flebile, qualche balbettio, momenti d’imbarazzo, parole a volte accompagnate dalle risate e dai mormorii nelle “gabbie” dei detenuti.

Stiamo parlando della sofferta testimonianza – ieri al maxi processo Aemilia – di Gennaro Gallo, questore per quasi quattro anni a Reggio Emilia (2004-2008). La chiamata a deporre è da parte delle difese di alcuni imputati. Messo sotto pressione in particolare dall’avvocato difensore Federico De Belvis e poi dal pm antimafia Beatrice Ronchi, l’ex numero uno della nostra questura fa pian piano emergere un inaspettato “quadro” di rapporti intrattenuti con diverse persone alla sbarra proprio per Aemilia e per gli inquirenti con ruoli non indifferenti nella cosca ndranghetista: l’onnipresente autista Domenico Mesiano (condannato in primo grado a (anni e mezzo di reclusione), Alfonso Paolini, Pasquale Brescia, Antonio Muto (classe 1955). Di questi soggetti Gallo dice che in quegli anni «non avevano pregiudizi a loro carico e da quel che ricordo non mi pare che la Mobile indagasse su di loro». Sfumate anche le sue risposte sulla criminalità organizzata a Reggio, per non parlare del commento su quando esplose nel gennaio 2015 la maxi operazione Aemilia: «Sono rimasto sorpreso, ho letto sui giornali dei capi d’imputazione strani». Una serie di affermazioni che portano il presidente della Corte – Francesco Caruso – a sbottare: «È rilevante che il questore dia una totale ignoranza del fenomeno mafioso, dice che non se l’aspettava, eppure è maturato nel tempo in cui lei era questore». Toccato sul vivo, Gallo replica così: «Era la squadra mobile che svolgeva le indagini e riferiva direttamente all’autorità giudiziaria. Io non sapevo su quali persone stessero indagando. Negli incontri periodici a Bologna si parlava delle infiltrazioni e di criminalità organizzata, in riferimento a Reggio l’associazione mafiosa Grande Aracri e in quel periodo si verificavano danneggiamenti tipici di questo modo d’agire. Mai fatti però nomi , si delineava il fenomeno in generale, senza entrare in particolari indagini».

Durante la testimonianza spunta in più punti il problema delle cautele, specie per chi è uomo delle istituzioni, come ben sintetizza il pm Ronchi («Una cautela che abbiamo tutti noi che facciamo questo lavoro è comprendere e sapere chi ci circonda»). E Gallo dice senza tanti giri di parole che le garanzie gliele dava Mesiano, il suo autista: «Di lui mi fidavo ciecamente, non dava adito a nulla, aveva una grossa esperienza». E salta fuori che l’allora questore conobbe Paolini tramite Mesiano: «Ma non amicizia: gli ho sempre dato del lei e non risultavano pregiudizi penali». Paolini, come imprenditore edile, riparò una conduttura in questura, perché era urgente: «Lo chiamò Mesiano, non so con precisione, ma non credo che Paolini venne poi pagato, non ho notizie di fatture». Sempre su Paolini l’ex questore aggiungerà che nella richiesta di porto d’armi, in quel caso, Mesiano tradì la sua fiducia: «Non inserì la dichiarazione dei redditi».

Ma saranno ancora tante le questioni che mettono sui carboni ardenti l’ex questore: le cene agli Antichi Sapori (il ristorante di Brescia), la foto in posa con alcuni imputati di Aemilia alla festa di congedo dalla questura, le modalità con cui concedere certi porti d’arma ritenute dai pm non sufficientemente stringenti. In special modo, la disponibilità ad aiutare Paolini quando, in seguito, gli chiese se poteva combinargli un appuntamento con l’allora commissario straordinario del Comune di Parma. «Lei esce di casa – l’attacca il pm Ronchi – e va davanti al vicino centro commerciale a parlare a questo tizio che ha visto 3-4 volte in tutto?» Gallo si giustifica: «Se un cittadino mi chiede qualcosa, io sono disponibile».

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