«Gli imputati? Normali imprenditori»
di Jacopo Della Porta
Commercialisti, ingegneri e direttori di banca parlano dei loro rapporti professionali con Sarcone, Giglio e altri cutresi
12 luglio 2017
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REGGIO EMILIA . Bancari, commercialisti, ingegneri. Sono alcuni dei professionisti reggiani che hanno avuto a che fare nello svolgimento delle loro attività con gli imputati di Aemilia e che ieri hanno testimoniato in tribunale a Reggio su richiesta dei difensori.
Testimonianze dalle quali emerge che gli imputati erano «imprenditori come tutti gli altri», che si presentavano «come qualsiasi altro cliente», senza atteggiamenti intimidatori e senza dare adito a sospetti di sorta. Tutti hanno detto di non aver avuto sentore di possibili collegamenti con la ‘ndrangheta.
L’ingegner Massimo Bigliardi, che ha lavorato a lungo con le imprese della famiglia Sarcone, la Sarcia Costruzioni, la New Essetre e la Terre Matildiche, poi sequestrate dal tribunale di Reggio, ha parlato in aula del suo rapporto professionale con Gianluigi, conosciuto nel 2003 durante la lottizzazione di Pieve Modolena (una collaborazione poi proseguita a San Polo, Montecchio, Bibbiano e Vezzano). L’ingegnere ha riferito di aver avuto rapporti soltanto con Gianluigi, fratello di quel Nicolino Sarcone ritenuto uno degli uomini di fiducia del boss Nicolino Grande Aracri.
Il pm della Dda Marco Mescolini ha chiesto al professionista se avesse mai incontrato Nicolino e se conoscesse i suoi trascorsi (il cutrese era già stato arrestato in Edilpiovra, anche se la condanna definitiva è arrivata dopo 13 anni). «L’ho visto su un escavatore una volta a San Polo, ma non ci siamo presentati», ha risposto Bigliardi. Poi ha aggiunto: «I problemi giudiziari non sono un argomento da cantiere».
Per quanto riguarda invece Gianluigi Sarcone, Bigliardi ha detto che, quando hanno lavorato insieme, non aveva avuto questioni con la giustizia ma forse lui stesso gli aveva parlato «di alcuni problemi precedenti».
La normalità di Gianluigi Sarcone, «cliente come tutti gli altri», è stata ribadita anche dalla bancaria Licia Iotti, che si occupa di concessione del credito per Mps ed ha avuto rapporti con l’imprenditore quando, a partire dal 2006, lavorava nella filiale di via Sessi a Reggio. «Le imprese della famiglia Sarcone erano viste in modo positivo in banca», ha detto la donna, che ha poi spiegato in che modo venivano concessi i mutui per finanziarie la costruzione di palazzine.
Non ha notato nulla di anomalo nemmeno Marco Carra, direttore della filiale di Viadana della Banca Popolare di Mantova, che aveva tra i clienti Giuseppe Giglio, ora collaboratore di giustizia, e poi Francesco Scida (accusato di essere un prestanome di Giglio).
«Se sapevo che Giglio era vicino alla ‘ndrangheta? Assolutamente no. Mai avuto sospetti fino a quando è arrivata la Dia in banca a portarci via tutti i documenti. Ci hanno detto di continuare ad operare come se niente fosse. Da quella volta lo abbiamo visto con occhi diversi». Scida invece in banca fu visto una sola volta, quando disse che era diventato lui amministratore. «Se ho mai ricevuto pressioni o minacce? No, e comunque quando sono arrivato alla filiale i conti erano già stati aperti».
In aula sono stati ascoltati anche il commercialista Domenico Amelio e l’ingegnere Giovanni Russo, che hanno lavorato con Gaetano Blasco. Al secondo è stato chiesto dell’incendio doloso avvenuto in via Bazzani, in un cantiere dei Blasco. L’ingegner ha raccontato del sopralluogo effettuato nel luglio 2013 per verificare i danni prodotti.
La commercialista Sonia Carnicelli ha invece parlato del suo rapporto con Francesco Macrì, per un periodo gestore del ristorante “Il cenacolo del pescatore” a Montecchio. Secondo le accuse Macrì era solo un prestanome di Michele Bolognino. La professionista in proposito ha riferito di essersi rapportata solo con Macrì e di non conoscere Bolognino.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Testimonianze dalle quali emerge che gli imputati erano «imprenditori come tutti gli altri», che si presentavano «come qualsiasi altro cliente», senza atteggiamenti intimidatori e senza dare adito a sospetti di sorta. Tutti hanno detto di non aver avuto sentore di possibili collegamenti con la ‘ndrangheta.
L’ingegner Massimo Bigliardi, che ha lavorato a lungo con le imprese della famiglia Sarcone, la Sarcia Costruzioni, la New Essetre e la Terre Matildiche, poi sequestrate dal tribunale di Reggio, ha parlato in aula del suo rapporto professionale con Gianluigi, conosciuto nel 2003 durante la lottizzazione di Pieve Modolena (una collaborazione poi proseguita a San Polo, Montecchio, Bibbiano e Vezzano). L’ingegnere ha riferito di aver avuto rapporti soltanto con Gianluigi, fratello di quel Nicolino Sarcone ritenuto uno degli uomini di fiducia del boss Nicolino Grande Aracri.
Il pm della Dda Marco Mescolini ha chiesto al professionista se avesse mai incontrato Nicolino e se conoscesse i suoi trascorsi (il cutrese era già stato arrestato in Edilpiovra, anche se la condanna definitiva è arrivata dopo 13 anni). «L’ho visto su un escavatore una volta a San Polo, ma non ci siamo presentati», ha risposto Bigliardi. Poi ha aggiunto: «I problemi giudiziari non sono un argomento da cantiere».
Per quanto riguarda invece Gianluigi Sarcone, Bigliardi ha detto che, quando hanno lavorato insieme, non aveva avuto questioni con la giustizia ma forse lui stesso gli aveva parlato «di alcuni problemi precedenti».
La normalità di Gianluigi Sarcone, «cliente come tutti gli altri», è stata ribadita anche dalla bancaria Licia Iotti, che si occupa di concessione del credito per Mps ed ha avuto rapporti con l’imprenditore quando, a partire dal 2006, lavorava nella filiale di via Sessi a Reggio. «Le imprese della famiglia Sarcone erano viste in modo positivo in banca», ha detto la donna, che ha poi spiegato in che modo venivano concessi i mutui per finanziarie la costruzione di palazzine.
Non ha notato nulla di anomalo nemmeno Marco Carra, direttore della filiale di Viadana della Banca Popolare di Mantova, che aveva tra i clienti Giuseppe Giglio, ora collaboratore di giustizia, e poi Francesco Scida (accusato di essere un prestanome di Giglio).
«Se sapevo che Giglio era vicino alla ‘ndrangheta? Assolutamente no. Mai avuto sospetti fino a quando è arrivata la Dia in banca a portarci via tutti i documenti. Ci hanno detto di continuare ad operare come se niente fosse. Da quella volta lo abbiamo visto con occhi diversi». Scida invece in banca fu visto una sola volta, quando disse che era diventato lui amministratore. «Se ho mai ricevuto pressioni o minacce? No, e comunque quando sono arrivato alla filiale i conti erano già stati aperti».
In aula sono stati ascoltati anche il commercialista Domenico Amelio e l’ingegnere Giovanni Russo, che hanno lavorato con Gaetano Blasco. Al secondo è stato chiesto dell’incendio doloso avvenuto in via Bazzani, in un cantiere dei Blasco. L’ingegner ha raccontato del sopralluogo effettuato nel luglio 2013 per verificare i danni prodotti.
La commercialista Sonia Carnicelli ha invece parlato del suo rapporto con Francesco Macrì, per un periodo gestore del ristorante “Il cenacolo del pescatore” a Montecchio. Secondo le accuse Macrì era solo un prestanome di Michele Bolognino. La professionista in proposito ha riferito di essersi rapportata solo con Macrì e di non conoscere Bolognino.
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