Ciconte: «Non sono l’alibi di Scarpino»

di Jacopo Della Porta
Ciconte: «Non sono l’alibi di Scarpino»

Lo studioso a muso duro contro il consigliere: «Stufo di essere chiamato in ballo da chi non ha fatto nulla contro le mafie»

16 luglio 2017
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REGGIO EMILIA. «La teoria che la mia relazione del 2008 sulla presenza mafiosa a Reggio abbia tranquillizzato i politici è una sciocchezza che viene usata da chi vuole costruirsi un alibi per la sua inazione, per non dire di peggio».

Lo studioso Enzo Ciconte interviene così dopo la deposizione al processo Aemilia del consigliere comunale Salvatore Scarpino, che al presidente del collegio giudicante, Francesco Caruso, ha ripetuto una tesi sostenuta anche da altri. Scarpino, riferendosi a quella relazione ha detto: «Mi ha tranquillizzato perché era scritto che era stata eretta una corazza da parte delle istituzioni, dei sindacati, delle forze sociali e questo mi tranquillizzava abbastanza».

Ciconte, il primo studioso a trattare il tema delle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia, è irritato dal fatto che queste affermazioni nei confronti del suo lavoro vengano ripetute, da alcuni, da un po’ di anni. «Mi sono stufato di fare il capro espiatorio di persone che non vogliono affrontare la realtà. Nella mia relazione del 2008, in quella precedente e in quella successiva, non ho mai detto che la situazione era tranquilla. Anzi, ho sempre messo in luce che la realtà andava evolvendo in senso negativo. Più volte ho messo in evidenza che oltre ai cutresi c’erano imprenditori reggiani che interloquivano in vario modo con la ‘ndrangheta, che c’era un aggravamento e che il mondo della politica cominciava a non essere più estraneo come un tempo. Che io abbia tranquillizzato è una solenne sciocchezza».

Lo studioso non rinnega invece la teoria degli anticorpi, cioè della presenza di forze sane nella società reggiana in grado di resistere all’aggressione. «Io sono ancora convinto che Reggio ha una società civile forte, che ci sono anticorpi e lo dimostra il processo Aemilia. Se Reggio non è crollata dopo quella imponente operazione vuole dire che nel corso degli anni sono stati gettati semi che poi hanno dato frutto».

Ciconte dice la sua anche sul tema dell’informazione, finita nel mirino nel corso del processo Aemilia. «La stampa reggiana non ha mai girato la testa dall’altra parte, ha informato per quello che poteva. Perché viene attaccata oggi da alcuni? Non dimentichiamoci che la ‘ndrangheta ha portato avanti una strategia mediatica negli anni scorsi, faceva interviste, andava in trasmissioni televisive per delegittimare il prefetto e le istituzioni. Dato che ora nessuno ha sostituito Marco Gibertini si sentono scoperti, non hanno più copertura, si è rotto il giocattolo e dunque si sentono in difficoltà. Per questo alzano il tiro».

C’è un filo conduttore che unisce una parte della comunità cutrese, il vittimismo della presunta discriminazione: scrittori, imputati, condannati, esponenti politici la portano avanti con convinzione. «Il vittimismo è uno sport nazionale. Ma sa cosa avrebbero dovuto fare i cutresi che si sentono discriminati? Io sono d’accordo sul fatto che alcuni siano vittime due volte, a Cutro e a Reggio. Allora dovrebbero prendere in mano la bandiera della lotta alla ‘ndrangheta. Invece non riescono nemmeno a dire che c’è la ‘ndrangheta».