Scarpino ora parla «Vi dico la verità»

di Evaristo Sparvieri
Scarpino ora parla «Vi dico la verità»

Il consigliere cutrese torna sulla deposizione al processo Attacchi a Costa e Masini. Su brogli e catasto: «Sono pulito»

17 luglio 2017
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REGGIO EMILIA. «Io non ero mai stato teste in un processo. Non posso dire se la mia deposizione sia stata a favore degli imputati o meno. Non spetta a me interpretarla. Ho cercato di dire la verità. Dovevo solo dire la verità, rispondendo alle domande. Ed è quello che ho fatto». La sua discussa testimonianza nel processo Aemilia, la risposta alle accuse della Masini, un appello al segretario provinciale Pd, Andrea Costa. E poi l’ormai datata inchiesta della Finanza sul catasto, finita in prescrizione, la deroga del Pd per la sua terza candidatura in sala Tricolore, il rapporto con il resto della comunità cutrese, la visita con il ministro Delrio al prefetto De Miro. Ha improvvisamente voglia di parlare il consigliere comunale ex Pd e ora Mdp, Salvatore Scarpino. Lo fa in maniera insolita, dopo anni di reticenze con la stampa, durante i quali il suo nome è saltato fuori in più di una circostanza, come in quelle schede per le amministrative 2014 finite al centro di una indagine per brogli elettorali, che non lo vede tra gli indagati. «Si vede che sono sfortunato – prova a ironizzare il consigliere su argomenti sui quali in realtà ci sarebbe poco da ridere, non rinnegando un certo vittimismo – Lo so, con la stampa ho sbagliato. L’ho ammesso anche in aula. Ma sui brogli, se si prendono i verbali, si vedrà che quei voti non sono stati assegnati. Non sono stato eletto con quei voti lì».

Scarpino, assegnati o meno c’è il suo nome su quelle schede. È questo il dato inquietante... Non crede? E soprattutto, come mai?

«Io non ne so nulla. C’è stata un’indagine, di cui non so nulla. Non sono nemmeno stato chiamato dalla magistratura».

Non sa nulla neanche dell’inchiesta della Finanza sul catasto? Lì risultava indagato. Si ipotizzava truffa ai danni dello Stato. Poi la prescrizione...

«Su questo voglio chiarire. Quei fatti contestati risalgono al 2000-2001. L’indagine viene aperta nel 2002. Non ero indagato solo io, anche altri. Chiediamo di essere ascoltati dalla Procura, ma non veniamo chiamati. L’indagine poi è andata avanti, non è stata messa a morire come qualcuno ha detto. È stata chiusa nel 2014. Né io, né altri abbiamo saputo quando era stata chiusa. Non c’è stato nemmeno comunicato. Sapevamo che l’indagine andava avanti perché c’erano provvedimenti disciplinari in corso, che non riguardavano me. E, prima delle legge Brunetta, i provvedimenti disciplinari non si potevano chiudere se non era chiusa l’indagine penale. Quindi l’Agenzia si informava ogni anno per sapere se le indagini erano aperte. Io ero pronto a rispondere ai pm, se mi avessero chiamato. Non lo hanno fatto. Ho saputo dell’archiviazione dalla stampa. Ero a Cutro, nel 2016, stava uscendo la Madonna. L’archiviazione c’era stata nel 2014. Su quell’inchiesta, inviterei però a leggere il decreto di archiviazione. Non è che la giustizia italiana vale solo quando conviene».

Archiviazione o prescrizione?

«È chiaro che le ipotesi di reato avevano una durata massima per chiudere le indagini di sei anni. L’inchiesta è stata chiusa nel 2014, e i reati sono andati prescritti. Ma nel decreto c’è scritto anche che non c’erano elementi per procedere».

Eppure sul Catasto reggiano sembra che spunti sempre qualche ombra. Pensi alle denunce dell’ex dirigente, Potito Salatto. Possibile che lei sia all’oscuro di quanto accaduto?

«Scalzulli se non sbaglio è arrivato a Reggio nel 2008. Io ero andato via già dal 2002. Prima e dopo Scalzulli, ci sono stati altri dirigenti. Mi chiedo perché certe domande vengano rivolte solo a me. Lavoro fuori Reggio da 15 anni, dopo la mia promozione».

E non le pare almeno insolita una promozione di una persona sotto indagine?

«Io ho vinto un concorso pubblico, chiaro? Ho vinto e mi hanno trasferito. Io, dipendente pubblico, perché sotto indagine devo stare fermo? L’Agenzia avrà fatto le sue valutazioni... non sono mica pazzi. È chiaro che avevano elementi».

Valutazioni che a molti sfuggono...

«Ho vinto il concorso e mi hanno trasferito a Bologna. Crede che abbia fatto carriera perché sono un politico? Le mie promozioni le ho avute per meriti, competenze e professionalità».

Anche le sue rielezioni?

«Io sono una persona corretta. Le dico questo: la questione delle indagini uscì la prima volta in campagna elettorale nel 2004. Non ho tenuto mai nascosto nulla al mio partito. Andai da Marchi, allora segretario di federazione, e da Corradini, segretario cittadino. Ho raccontato tutto e mi dissero di andare avanti. Chiesi loro una dichiarazione pubblica in cui mi esprimevano fiducia. Marchi la fece. La notizia delle indagini riuscì poi fuori nel 2009, nella seconda campagna elettorale. Ma io ho sempre avvisato chi di dovere. Quest’ultima volta è uscita nel 2016, e non nel 2014».

Resta la sua deroga al terzo mandato, piovuta dall’alto.

«Non ho mai chiesto la terza candidatura. L’ha voluta il Pd. Io non volevo. In una riunione al circolo 4, ho detto di avere già dato. Poi ho ceduto per spirito di servizio al partito. Ho anche litigato con mia moglie. Ma non ho mai partecipato a nessun organismo in cui si decidono le candidature. Se non mi candidavano, non c’era problema».

Perché proprio lei, allora? A pensare male, come si dice...

«Avranno fatto valutazioni e avranno apprezzato come mi ero comportato, anche da presidente di commissione, in modo imparziale. Sono un politico responsabile. Lo chieda agli altri consiglieri, anche Lega e M5s. Quando abbiamo approvato il Psc ho avuto il plauso di tutti».

Lei viene da sempre indicato come il referente della comunità cutrese. Non crede invece di aver fallito il suo compito?

«Non mi piace il termine comunità cutrese. I cutresi che vivono a Reggio sono reggiani. E sono interessati ai problemi della città. Il mio ruolo era quello di agevolare l’integrazione. Ho fatto il possibile, ma non è che in consiglio si parli sempre e solo di Cutro. Secondo alcuni, comunque, se non fossi stato cutrese sarei potuto diventare assessore. Ma vorrei dire anche un’altra cosa».

Ovvero?

«Mi meraviglio che Sonia Masini, vicepresidente e poi presidente della Provincia, dica anche in un’aula giudiziaria di aggressioni verbali e parli di potere. Alla riunione alla quale fa riferimento, al circolo 4, c’era la sala piena. C’erano anche il segretario provinciale Pd, Costa, e Vicini, allora segretario cittadino. Li invito, come li invitai anche nel 2015, a dire la verità. Vicini lo fece, ad onore del vero. Costa no. Quindi gli rifaccio l’appello».

Ma cosa avvenne in quella riunione?

«Io e la Masini ci siamo solo parlati sopra».

Ma, di là dall’episodio, quel che dice la Masini sembra più grave di un diverbio. Di fatto, sostiene che lei non è stato affatto utile alla lotta alle infiltrazioni, mettendo in evidenza una certa reticenza anche nel Pd, nel quale militava.

«Non spetta a me fare le indagini. Io sono un consigliere comunale».

Ma come politico di Reggio, di origine cutrese, avrebbe potuto mettere in guardia. Non crede? Ad esempio, lei conosce Grande Aracri e altri imputati?

«Grande Aracri non lo conosco. Altri sì. Ma non è che posso conoscere tutti».

Ma Cutro non è una metropoli. Possibile che non avesse nessun sentore di quanto stesse accadendo a Reggio?

«Cutro non è un paesino. Fa 10mila abitanti. Non si può far passare il discorso che in qualità di consigliere non ho fatto nulla. Sono responsabile di tutto io?».

Poteva mettere in guardia da nomi e cognomi.

«Come?»

Veniva da lì, avrebbe dovuto avere dei sentori…

«Ma io vado a Cutro solo durante le ferie… la mia vita è qua. E, comunque, si legga la mia dichiarazione in consiglio nel 2015, dopo l’operazione Aemilia, in una sede istituzionale. Che deve fare di più un consigliere comunale?»

Dopo la sua deposizione, domani sarà la volta di Delrio, con il quale lei andò dal prefetto De Miro. Fece anche quello da consigliere...

«Il prefetto è già venuto in Aemilia, Avete sentito cosa ha detto? Penso che abbia chiarito tutto, dicendo che è stato un colloquio sereno. Se non volete proprio credere a Scarpino, spero vogliate credere almeno a un prefetto della Repubblica. Oppure volete solo sbattere Scarpino in prima pagina?».