Vecchi e Sergio in aula «Mai subìto pressioni»
di Enrico Lorenzo Tidona
Il sindaco e la moglie (ex dirigente) sentiti su infiltrazioni, politica e edilizia «Se ci fossero stati condizionamenti avremmo immediatamente denunciato»
26 luglio 2017
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REGGIO EMILIA. «Mai subito pressioni, altrimenti avremmo denunciato». Gli incendi dolosi che hanno illuminato a giorno le notti reggiane, l’infiltrazione malavitosa che ha insidiato la vita pubblica, l’innalzamento delle prime barriere difensive contro le mafie e il blocco delle speculazioni edilizie. Su fronti diversi ma sostanzialmente all’unisono, ieri il sindaco Luca Vecchi e l’ingegnere Maria Sergio (sua moglie) hanno spiegato di non aver mai subito condizionamenti durante l’ultimo decennio abbondante in cui, entrambi, hanno rivestito il ruolo di amministratori pubblici. L’attuale primo cittadino di Reggio Emilia e l’ex dirigente all’urbanistica (dal 2014 passata in forza a Modena) sono stati sentiti ieri come testimoni chiamati dalla difesa di Francesco Scida, accusato di essere un prestanome dell’imprenditore - poi pentitosi - Pino Giglio.
Chiamato per primo a parlare dal banco dei testimoni davanti ai giudici, il sindaco Vecchi ha reso una testimonianza dal sapore anche politico, scansando dubbi su condizionamenti o offerte di voto di scambio da parte di persone vicine a clan o imputati del maxi processo. «Se mai lo avessi saputo avrei denunciato» è la risposta offerta a più riprese e senza indugi dal primo cittadino, sostenuto dalla presenza di altri sindaci (Montecchio, Bibbiano), del presidente della Provincia Giammaria Manghi oltre agli assessori Curioni, Sassi, Marchi e Pratissoli. «È a conoscenza di infiltrazioni mafiose del gruppo Grande Aracri sul settore edilizia urbano di Reggio Emilia?» ha esordito in maniera diretta l’avvocato Antonio Piccolo. «Posso dire che il sottoscritto, come il territorio e questa comunità, non da oggi ma da almeno 10 anni a questa parte, ha preso coscienza che c’era un problema serio con la ‘ndrangheta, inedito per questa comunità. Credo che ci siano molti fatti che nella loro rilevanza politica siano utili a confermare questa consapevolezza». Vecchi enumera quindi i protocolli antimafia, le iniziative sul tema. Poi gli spartiacque: la relazione del professor Ciconte in primis: «Ho letto la relazione - dice Vecchi - è un lavoro di ricerca che ricostruisce vicende criminali dagli anni ’90 al 2000. Vicende di estorsioni, traffico di droga e modalità insediamento al nord. Venne discussa anche in consiglio comunale. Era un po’ complicato per un esponente politico non accorgersi di questa situazione». Parole poi per il protocollo di legalità del 2011 tra prefettura e comune «che ha aperto la strada ad altri protocolli negli altri comuni» e i «grandi investimenti sulla cultura della legalità», dice Vecchi, «che ci hanno portato a crescere nella consapevolezza».
Il segno delle infiltrazioni, però, è stato reso evidente dalla interdittive antimafia firmate dal prefetto Antonella De Miro. «A un certo punto inizia la stagione delle interdittive - ricorda il sindaco - e gli amministratori prendono seriamente la questione». Provvedimenti che, ricorda Vecchi, «in città a qualcuno davano fastidio». «Io vivo da 44 anni a Reggio Emilia e quando è iniziata la stagione dei roghi credo che fosse ragionevole chiedersi cosa stava succedendo». Roghi dolosi che «avevano una loro rilevanza specifica in alcuni settori economici, il trasporto, il movimento terra e l’edilizia e restituivano l’evidenza di problematiche in un certo tipo di economia legata all’edilizia calabrese insediata a Reggio Emilia».
Infine, taglia corto Vecchi, «per quanto mi riguarda non ho mai subito forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata. Se nella mia funzione avessi avvertito pressioni, se anche solo avessi avuto il sospetto di notizie di reato mi sarei rivolto alle autorità competenti». «Ma lei è a conoscenza di condotte remissive da parte di esponenti di qualsiasi parte politica o di soggetti che lavoravano all’interno del Comune o che potevano essere remissivi rispetto a soggetti mafiosi?» chiede l’avvocato Piccolo. «La mia risposta è no. Sarei andato come cittadino a esporre denuncia».
Vecchi, per quanto di sua conoscenza, esclude poi che le cosche locali abbiamo cercato di condizionare le consultazioni amministrative indicando dei candidati precisi. «Ci sono stati elementi oggettivi relativi a proposte di offrire voti o scambio elettorale?». «Ho partecipato a tre competizioni elettorali. Due da consigliere comunale, poi da sindaco. Sono amministratore dal 2004 e in questo arco di tempo la mia risposta è no». Nessuna macchia nemmeno sulla politica edilizia, perché «il piano strutturale comunale del 2010 è l’atto amministrativo più rilevante dal punto di vista storico per discontinuità. Venne discusso pubblicamente con grande trasparenza, furono migliaia le osservazioni ma vennero rigettate al 99 per cento mantenendo fede al mandato sindaco Delrio che ha voluto compiere un’inversione di marcia».
«È stata una stagione di tanti no più che di tanti sì, buona parte delle 1.600 osservazioni erano richieste di cambio zona da agricola in edificabile» riporta alla mente Maria Sergio incalzata dall’avvocato Piccolo, suffragando le parole del sindaco, che aveva indicato uno stop efficace all’espansione edilizia in atto negli anni Duemila.
Poi l’analisi della comunità cutrese, che vota in città. «Per me c’è una sola comunità- ha detto Vecchi - ma non vi è dubbio che la cittadinanza cutrese si è insediata come comunità nella comunità. Credo ragionevolmente di poter dire che i cutresi di Reggio hanno votato i partiti di centro sinistra come centro destra, come è normale».
La moglie, urbanista dal 2004 al 2014 in comune a Reggio - prima funzionario in provincia - è stata invece per anni il dominus del servizio a Reggio. Afferma di non essere mai stata avvicinata da imprenditori cutresi o soggetti a loro vicini in odor di mafia per avere vantaggi dall’amministrazione comunale. «Al di fuori del lavoro ho frequentazioni per scelta di vita che non riguardano cutresi» dice Sergio, nata a Cutro ma subito trasferitasi a Reggio con la famiglia, che conta diversi diramazioni nell’edilizia a Reggio. «Tra i nomi degli imputati di Aemilia di cui sono a conoscenza l’unico che mi viene in mente è quello di Francesco Macrì» dice Sergio, facendo riferimento all’impresario che le vendette la casa di Masone. Ma la dirigente comunale rivendica un percorso di vita distante dall’enclave cutrese. «Ho fatto le vacanze al paese fino ai 15 anni. Poi è saltato tutto con la scuola e l’università a Bologna. Le mie frequentazioni sono nate soprattutto in quell’ambito lì» racconta emozionata nella voce ma con perfetto accento reggiano. «Negli ultimi anni sono stata in paese solo un paio di volte». Sergio ha preso coscienza delle infiltrazioni dopo i richiami di Delrio ai dirigenti comunali. Infine il capitolo familiare, legato al funerale del padre, evento sul quale Piccolo chiede chi aveva partecipato, fatto tirato in ballo dalla lettera di un altro imputato, Pasquale Brescia. «Le persone che c’erano al funerale io non le ho mai frequentate. Sul fatto sono uscite notizie non risultate vere».
Chiamato per primo a parlare dal banco dei testimoni davanti ai giudici, il sindaco Vecchi ha reso una testimonianza dal sapore anche politico, scansando dubbi su condizionamenti o offerte di voto di scambio da parte di persone vicine a clan o imputati del maxi processo. «Se mai lo avessi saputo avrei denunciato» è la risposta offerta a più riprese e senza indugi dal primo cittadino, sostenuto dalla presenza di altri sindaci (Montecchio, Bibbiano), del presidente della Provincia Giammaria Manghi oltre agli assessori Curioni, Sassi, Marchi e Pratissoli. «È a conoscenza di infiltrazioni mafiose del gruppo Grande Aracri sul settore edilizia urbano di Reggio Emilia?» ha esordito in maniera diretta l’avvocato Antonio Piccolo. «Posso dire che il sottoscritto, come il territorio e questa comunità, non da oggi ma da almeno 10 anni a questa parte, ha preso coscienza che c’era un problema serio con la ‘ndrangheta, inedito per questa comunità. Credo che ci siano molti fatti che nella loro rilevanza politica siano utili a confermare questa consapevolezza». Vecchi enumera quindi i protocolli antimafia, le iniziative sul tema. Poi gli spartiacque: la relazione del professor Ciconte in primis: «Ho letto la relazione - dice Vecchi - è un lavoro di ricerca che ricostruisce vicende criminali dagli anni ’90 al 2000. Vicende di estorsioni, traffico di droga e modalità insediamento al nord. Venne discussa anche in consiglio comunale. Era un po’ complicato per un esponente politico non accorgersi di questa situazione». Parole poi per il protocollo di legalità del 2011 tra prefettura e comune «che ha aperto la strada ad altri protocolli negli altri comuni» e i «grandi investimenti sulla cultura della legalità», dice Vecchi, «che ci hanno portato a crescere nella consapevolezza».
Il segno delle infiltrazioni, però, è stato reso evidente dalla interdittive antimafia firmate dal prefetto Antonella De Miro. «A un certo punto inizia la stagione delle interdittive - ricorda il sindaco - e gli amministratori prendono seriamente la questione». Provvedimenti che, ricorda Vecchi, «in città a qualcuno davano fastidio». «Io vivo da 44 anni a Reggio Emilia e quando è iniziata la stagione dei roghi credo che fosse ragionevole chiedersi cosa stava succedendo». Roghi dolosi che «avevano una loro rilevanza specifica in alcuni settori economici, il trasporto, il movimento terra e l’edilizia e restituivano l’evidenza di problematiche in un certo tipo di economia legata all’edilizia calabrese insediata a Reggio Emilia».
Infine, taglia corto Vecchi, «per quanto mi riguarda non ho mai subito forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata. Se nella mia funzione avessi avvertito pressioni, se anche solo avessi avuto il sospetto di notizie di reato mi sarei rivolto alle autorità competenti». «Ma lei è a conoscenza di condotte remissive da parte di esponenti di qualsiasi parte politica o di soggetti che lavoravano all’interno del Comune o che potevano essere remissivi rispetto a soggetti mafiosi?» chiede l’avvocato Piccolo. «La mia risposta è no. Sarei andato come cittadino a esporre denuncia».
Vecchi, per quanto di sua conoscenza, esclude poi che le cosche locali abbiamo cercato di condizionare le consultazioni amministrative indicando dei candidati precisi. «Ci sono stati elementi oggettivi relativi a proposte di offrire voti o scambio elettorale?». «Ho partecipato a tre competizioni elettorali. Due da consigliere comunale, poi da sindaco. Sono amministratore dal 2004 e in questo arco di tempo la mia risposta è no». Nessuna macchia nemmeno sulla politica edilizia, perché «il piano strutturale comunale del 2010 è l’atto amministrativo più rilevante dal punto di vista storico per discontinuità. Venne discusso pubblicamente con grande trasparenza, furono migliaia le osservazioni ma vennero rigettate al 99 per cento mantenendo fede al mandato sindaco Delrio che ha voluto compiere un’inversione di marcia».
«È stata una stagione di tanti no più che di tanti sì, buona parte delle 1.600 osservazioni erano richieste di cambio zona da agricola in edificabile» riporta alla mente Maria Sergio incalzata dall’avvocato Piccolo, suffragando le parole del sindaco, che aveva indicato uno stop efficace all’espansione edilizia in atto negli anni Duemila.
Poi l’analisi della comunità cutrese, che vota in città. «Per me c’è una sola comunità- ha detto Vecchi - ma non vi è dubbio che la cittadinanza cutrese si è insediata come comunità nella comunità. Credo ragionevolmente di poter dire che i cutresi di Reggio hanno votato i partiti di centro sinistra come centro destra, come è normale».
La moglie, urbanista dal 2004 al 2014 in comune a Reggio - prima funzionario in provincia - è stata invece per anni il dominus del servizio a Reggio. Afferma di non essere mai stata avvicinata da imprenditori cutresi o soggetti a loro vicini in odor di mafia per avere vantaggi dall’amministrazione comunale. «Al di fuori del lavoro ho frequentazioni per scelta di vita che non riguardano cutresi» dice Sergio, nata a Cutro ma subito trasferitasi a Reggio con la famiglia, che conta diversi diramazioni nell’edilizia a Reggio. «Tra i nomi degli imputati di Aemilia di cui sono a conoscenza l’unico che mi viene in mente è quello di Francesco Macrì» dice Sergio, facendo riferimento all’impresario che le vendette la casa di Masone. Ma la dirigente comunale rivendica un percorso di vita distante dall’enclave cutrese. «Ho fatto le vacanze al paese fino ai 15 anni. Poi è saltato tutto con la scuola e l’università a Bologna. Le mie frequentazioni sono nate soprattutto in quell’ambito lì» racconta emozionata nella voce ma con perfetto accento reggiano. «Negli ultimi anni sono stata in paese solo un paio di volte». Sergio ha preso coscienza delle infiltrazioni dopo i richiami di Delrio ai dirigenti comunali. Infine il capitolo familiare, legato al funerale del padre, evento sul quale Piccolo chiede chi aveva partecipato, fatto tirato in ballo dalla lettera di un altro imputato, Pasquale Brescia. «Le persone che c’erano al funerale io non le ho mai frequentate. Sul fatto sono uscite notizie non risultate vere».