'Ndrangheta, beni confiscati a Palmo Vertinelli
Allo Stato 10 milioni fra ristorante, ditte, appartamenti. La decisione dopo una lunga battaglia legale seguita al sequestro
REGGIO EMILIA Dopo due anni e mezzo di serrata battaglia legale, è arrivata la prima importante “sterzata” giudiziaria sul più cospicuo blocco di beni – valutato sui 10 milioni di euro – in odore di ’ndrangheta e riferibili all’imprenditore d’origine cutrese Palmo Vertinelli (in carcere per le accuse legate ad Aemilia, è sotto processo nel maxi processo a Reggio) da tempo insediatosi nel Reggiano.
E la Corte – presieduta da Dario De Luca (giudici a latere Angela Baraldi e Simone Medioli Devoto) – ha di recente tramutato il maxi sequestro in confisca del patrimonio (quote societarie, appartamenti ed autorimesse a Montecchio, Gattatico e nel Parmense, un terreno a Crotone, due auto nonché due scooter) fra cui spicca la grande struttura del ristorante “Millefiori” di Montecchio.
RIPRENDIAMOLI - Lo speciale beni confiscati
Restano fuori altri beni che risultano in comproprietà (coinvolti, a seconda dei casi, lo stesso Palmo, il fratello Giuseppe e le rispettive mogli e figli) che sono al centro di un altro procedimento. In questa lunga e delicata “lotta” in tribunale a Reggio – tenutasi a porte chiuse – si sono contrapposti il pm antimafia Beatrice Ronchi e i difensori di Vertinelli (i legali Alessio Fornaciari e Gaetano Pecorella), ma hanno svolto un ruolo importante anche l’amministratore giudiziario Federica Zaniboni e il perito Maria Domenica Costetti.
In soldoni, due i versanti: patrimonio e pericolosità di Vertinelli. Sul versante economico l’accusa (sulla base della perizia) ha rimarcato la sproporzione fra i redditi dichiarati ed il consistente patrimonio riferibile a Palmo.
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Per la difesa, invece, il tenore di vita andava parametrato con le società («Non valutate in perizia»), sostenendo che non vi è distinzione fra aspetto personale e societario: in quest’ottica i periti di Vertinelli hanno calcolato una sperequazione quasi a zero.
Poi sul piano-pericolosità, la Dda ha messo sul piatto le rivelazioni del pentito Giuseppe Giglio, ricavandone un Vertinelli uomo-chiave per il clan Grande Aracri, capace di svilupparne affari ed influenze in Emilia e non solo. Per i difensori Giglio non è credibile, non vi sono riscontri e il suo pentimento durante l’udienza preliminare è dettato dall’aver letto gli atti d’indagine, a cui si sarebbe conformato. Se ne riparlerà in Appello a Bologna, perché il provvedimento di confisca è stato già impugnato dalla difesa.