Gazzetta di Reggio

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Oltre 100 “reati spia” a Reggio in due anni

Oltre 100 “reati spia” a Reggio in due anni

È la statistica contenuta nella ricerca commissionata da Legacoop che va dai roghi agli attentati

07 agosto 2017
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REGGIO EMILIA. A Reggio Emilia solo tra gennaio 2010 e ottobre 2012 sono stati segnalati 97 episodi intimidatori (incendi e danneggiamenti) in danno di privati e 15 in danno di esponenti politici e magistrati. È la statistica composta da Federica Cabras, ricercatrice dell’equipe universitaria del professor Nando dalla Chiesa, e che era stata al centro del convegno “Economia, comunità e lavoro – Uniti nella legalità” tenutosi lo scorso 28 aprile al Centro Internazionale Malaguzzi, organizzato da Legacoop Emilia Ovest in collaborazione con Istituto Cervi e Libera Reggio Emilia. Un report che rispolveriamo per dare la consistenza dei “reati spia”, vale a dire quegli episodi - roghi dolosi in primis - che vengono poi comunicati dalle procure locali alle distrettuali antimafia.

Parliamo soprattutto di automezzi incendiati, esplosioni sospette e furti nei cantieri. Episodi che si sono ripetuti anche negli anni successivi, come dimostrano i dati che ci sono stati forniti dalla Procura di Reggio Emilia relativi a reati incendiari (art. 423 c.p.) e ai danneggiamenti seguiti da incendio: ben 54 solo nel 2014, di cui 10 ad opera di soggetti noti. È questa l’impressionante statistica compresa nella ricerca.

Nella sua ricerca, Cabras aveva poi messo insieme le diverse minacce giunte a soggetti pubblici e istituzioni. «Diverse sono state le minacce rivolte a giornalisti locali e al Prefetto di Reggio Emilia, osteggiata per la sua attività di contrasto attraverso le numerose interdittive applicate a imprese calabresi e reggiane - ricorda la ricercatrice - A cui si sono affiancati tentativi di delegittimazione da parte del clan nei confronti di esponenti delle istituzioni locali impegnati in prima linea contro il fenomeno mafioso, come nel caso dell’ex presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia. Il modello di infiltrazione emiliano ricalca sostanzialmente il modello classico di infiltrazione della ‘ndrangheta nelle Regioni settentrionali del Paese. Pur presentando tratti distintivi per lo più di natura strutturale, mantiene invariate le sue componenti identitarie essenziali. A partire dal rapporto ineluttabile che lega la cellula emiliana con la locale madre in Calabria e dall’impiego del metodo tipicamente mafioso che guida l’azione del clan e delle sue imprese». (e.l.t.)