Ex operaio ora rischia la falsa testimonianza
Auriemma richiamato a deporre sui lavori per la ditta Bianchini ma si trincera dietro ai «Non ricordo»
09 agosto 2017
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REGGIO EMILIA. Giuseppe Richichi e Gennaro Auriemma: sono stati loro i protagonisti dell’udienza del processo Aemilia a Reggio, insieme al collaboratore di giustizia Rocco Femia le cui dichiarazioni all’Antimafia hanno permesso di aprire un nuovo filone d’indagine.
I primi due hanno sviscerato soprattutto i legami tra la Bianchini Costruzioni e Michele Bolognino, ricostruendo soprattutto la necessità di Bolognino di non apparire mai negli affari – delegando i lavori nei cantieri a Lauro Alleluia – pur effettuando parte del pagamento degli stipendi.
È soprattutto Richichi a ricostruire la vicenda, raccontando di aver visto Bianchini con Bolognino nel suo capannone e avendo lavorato per l’impresa di San Felice per alcuni giorni nel cantiere del cimitero di Finale.
L’azienda si occupava di pagare -– regolarmente in busta paga – parte dell’onorario ma il resto veniva poi “girato” a Bolognino – tramite le fatture false con Pino Giglio – che si occupava di saldare la seconda parte dello stipendio in contanti.
Dieci euro all’ora, ricorda Richichi, a fronte dei 23 del pacchetto complessivo.
Il resto se lo teneva il referente dell’organizzazione ’ndranghetista “per il gasolio”.
E non c’erano neppure i buoni pasto per gli operai tranne che in un solo caso quando, su decisione autonoma di Richichi, andarono a mangiare al self service a causa del gran caldo.
E tra quei lavoratori c’era anche Auriemma, chiamato nuovamente a testimoniare per alcune incongruenze tra quanto detto in aula e ciò che aveva dichiarato ai carabinieri.
La sua è stata una deposizione che ha surriscaldato gli animi in udienza con il presidente del Tribunale, Francesco Caruso, che lo ha ripreso più volte, anticipando il rischio di essere incriminato per falsa testimonianza.
Ma Auriemma non ha ceduto ai solleciti, negando di conoscere Bolognino, di averlo mai riconosciuto in foto e di averlo incrociato “forse” di sfuggita una volta quando è andato a ritirare lo stipendio.
In nero? Auriemma non ricorda di aver preso soldi in contanti pur avendolo messo a verbale. «Tanto a me non cambia niente», ha detto alla Corte che lo redarguiva.
©RIPRODUZIONE RISERVATA .
I primi due hanno sviscerato soprattutto i legami tra la Bianchini Costruzioni e Michele Bolognino, ricostruendo soprattutto la necessità di Bolognino di non apparire mai negli affari – delegando i lavori nei cantieri a Lauro Alleluia – pur effettuando parte del pagamento degli stipendi.
È soprattutto Richichi a ricostruire la vicenda, raccontando di aver visto Bianchini con Bolognino nel suo capannone e avendo lavorato per l’impresa di San Felice per alcuni giorni nel cantiere del cimitero di Finale.
L’azienda si occupava di pagare -– regolarmente in busta paga – parte dell’onorario ma il resto veniva poi “girato” a Bolognino – tramite le fatture false con Pino Giglio – che si occupava di saldare la seconda parte dello stipendio in contanti.
Dieci euro all’ora, ricorda Richichi, a fronte dei 23 del pacchetto complessivo.
Il resto se lo teneva il referente dell’organizzazione ’ndranghetista “per il gasolio”.
E non c’erano neppure i buoni pasto per gli operai tranne che in un solo caso quando, su decisione autonoma di Richichi, andarono a mangiare al self service a causa del gran caldo.
E tra quei lavoratori c’era anche Auriemma, chiamato nuovamente a testimoniare per alcune incongruenze tra quanto detto in aula e ciò che aveva dichiarato ai carabinieri.
La sua è stata una deposizione che ha surriscaldato gli animi in udienza con il presidente del Tribunale, Francesco Caruso, che lo ha ripreso più volte, anticipando il rischio di essere incriminato per falsa testimonianza.
Ma Auriemma non ha ceduto ai solleciti, negando di conoscere Bolognino, di averlo mai riconosciuto in foto e di averlo incrociato “forse” di sfuggita una volta quando è andato a ritirare lo stipendio.
In nero? Auriemma non ricorda di aver preso soldi in contanti pur avendolo messo a verbale. «Tanto a me non cambia niente», ha detto alla Corte che lo redarguiva.
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