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La Corte dice “no” alla scarcerazione del 62enne Muto
REGGIO EMILIA. L’istanza di scarcerazione è stata rigettata.Stiamo parlando della decisione presa ieri dal collegio giudicante (il presidente Francesco Caruso, a latere i colleghi Cristina Beretti ed...
13 agosto 2017
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REGGIO EMILIA. L’istanza di scarcerazione è stata rigettata.
Stiamo parlando della decisione presa ieri dal collegio giudicante (il presidente Francesco Caruso, a latere i colleghi Cristina Beretti ed Andrea Rat) del maxi processo Aemilia sulla richiesta di uscire dal carcere – per motivi di salute – avanzata dall’imputato 62enne Antonio Muto (originario di Cutro, ma da tempo residente a Reggio) attraverso gli avvocati difensori Vincenzo Belli e Salvatore Staiano.
Muto si trova in cella a Reggio con l’accusa di associazione mafiosa, ma da tempo non sta bene, da qui la richiesta di scarcerazione.
In aula – tre giorni fa – è stato sentito il medico legale Moreno Lusetti che non ha avallato la richiesta, ritenendo la struttura penitenziaria compatibile con le condizioni dell’imputato, in quanto il detenuto è adeguatamente curato in carcere alla Pulce.
Una valutazione medica che probabilmente ha pesato, indirizzando la Corte verso il “no” alla scarcerazione.
Per la Dda di Bologna il 62enne è un “partecipe” della cosca ’ndranghetista radicatasi in Emilia e con epicentro a Reggio.
Secondo i pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi – che rappresentano l’accusa – siamo di fronte, nel caso di Muto e di altri 41 imputati (identificati come detto in “partecipi” del clan) a persone “costantemente in contatto con gli altri associati – si legge nel capo d’imputazione – espressione della consapevole e volontaria partecipazione all’associazione di stampo mafioso, dell’osservanza delle sue gerarchie e regole, della fedeltà alle direttive ricevute, del perseguimento dell’interesse dell’organizzazione, partecipando alle riunioni del sodalizio, utilizzando in modo costante il rapporto con gli altri associati come forma di allargamento della propria influenza nonché capacità affaristica e di inserimento nel sistema economico emiliano”.
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Stiamo parlando della decisione presa ieri dal collegio giudicante (il presidente Francesco Caruso, a latere i colleghi Cristina Beretti ed Andrea Rat) del maxi processo Aemilia sulla richiesta di uscire dal carcere – per motivi di salute – avanzata dall’imputato 62enne Antonio Muto (originario di Cutro, ma da tempo residente a Reggio) attraverso gli avvocati difensori Vincenzo Belli e Salvatore Staiano.
Muto si trova in cella a Reggio con l’accusa di associazione mafiosa, ma da tempo non sta bene, da qui la richiesta di scarcerazione.
In aula – tre giorni fa – è stato sentito il medico legale Moreno Lusetti che non ha avallato la richiesta, ritenendo la struttura penitenziaria compatibile con le condizioni dell’imputato, in quanto il detenuto è adeguatamente curato in carcere alla Pulce.
Una valutazione medica che probabilmente ha pesato, indirizzando la Corte verso il “no” alla scarcerazione.
Per la Dda di Bologna il 62enne è un “partecipe” della cosca ’ndranghetista radicatasi in Emilia e con epicentro a Reggio.
Secondo i pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi – che rappresentano l’accusa – siamo di fronte, nel caso di Muto e di altri 41 imputati (identificati come detto in “partecipi” del clan) a persone “costantemente in contatto con gli altri associati – si legge nel capo d’imputazione – espressione della consapevole e volontaria partecipazione all’associazione di stampo mafioso, dell’osservanza delle sue gerarchie e regole, della fedeltà alle direttive ricevute, del perseguimento dell’interesse dell’organizzazione, partecipando alle riunioni del sodalizio, utilizzando in modo costante il rapporto con gli altri associati come forma di allargamento della propria influenza nonché capacità affaristica e di inserimento nel sistema economico emiliano”.
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