Pagliani sotto shock: «Condanna folle»
di Jacopo Della Porta
Quattro anni all’avvocato, che si dimette da consigliere provinciale e comunale: «Concorso esterno? La mafia mi fa schifo»
13 settembre 2017
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SCANDIANO. «Una sentenza folle, assolutamente ingiustificata e ingiustificabile. Un errore giudiziario gravissimo. La mafia mi fa schifo ed è vergognoso che qualcuno la associ al mio nome. Sono un perseguitato». Sono passate poche ore dalla lettura della sentenza d’appello del processo Aemilia con rito abbreviato e dal suo studio legale di Arceto Giuseppe Pagliani esprime tutto il suo stupore per una decisione che ha ribaltato l’assoluzione di primo grado. «Un fulmine a ciel sereno», dice l’avvocato senza nascondere la sorpresa e il turbamento.
L’esponente di Forza Italia è stato condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa, pene accessorie l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e la libertà vigilata di un anno una volta espiata la pena. Ieri i giudici di Bologna hanno sostanzialmente confermato gli esiti del primo grado, però con due importanti eccezioni, le condanne di Pagliani e di Michele Colacino, che erano stati assolti.
«Così si rovina una famiglia, le persone che mi sono vicine - si sfoga il politico - ho un figlio che deve nascere, un altro nato durante questo percorso. Così si compie un atto criminale verso qualcuno che non ha mai avuto un briciolo di potere in questa città, perché la mia parte politica non è mai stata alternativa a nulla, il centrodestra ha al massimo un diritto di tribuna qui...».
Mentre parla con noi il telefono cellulare di Pagliani squilla di continuo e davanti all’abitazione è un via vai di persone. «Ho ricevuto centinaia di telefonate, dai vertici nazionali, parlamentari, amici, anche avversari. La gente ha capito che è un accanimento vergognoso e mi esprime solidarietà».
L’avvocato interrompe l’intervista per firmare le dimissioni da consigliere provinciale e comunale, ponendo fine così a un’attività politica di lungo corso. «Voglio andare in Cassazione senza brighe, in base alla Severino sarei stato sospeso ma non sarei decaduto, ma non mi interessa. Visto che per la mia passione politica sono andato a finire in una vicenda vergognosa, ma anche molto dolorosa per me e le persone vicine, non ho più intenzione di ricoprire ruoli amministrativi, perché fatti così mi fanno sinceramente un po’ schifo».
Inevitabilmente Pagliani torna sulla famigerata cena del marzo 2012, «quella stramaledetta cena», dove secondo la Dda si sarebbe avvicinato consapevolmente a persone legate alla ’ndrangheta. «È palese che non posso essere un concorrente esterno non avendo nulla da dare a questa gente e non sapendo nemmeno che questa gente fosse concorrente in qualcosa». Per la procura l’avvocato era consapevole della caratura criminale di alcuni interlocutori, in particolare Nicolino Sarcone. «Ma se dalla questura sino a due mesi dopo la cena del marzo 2012 continuavano ad andare a cena insieme a queste persone, se non lo sapevano loro perché dovevo essere tenuto io a sapere qualcosa». Un riferimento ad alcuni dei partecipanti alla cena che erano in rapporti con esponenti delle forze dell’ordine (tra loro non figura Sarcone).
Il legale di Arceto appare combattivo, anche se provato dalla sentenza di poche ore prima, e si dice convinto di poter ottenere ragione in Cassazione, senza nascondere la profonda delusione per una decisione che non si aspettava. «Non c’è nessun elemento che potesse portare a questa sentenza. Il Riesame dopo l’arresto mi ha scarcerato, in primo grado sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Fino a sei anni fa non sarebbe stato nemmeno possibile fare un appello per una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. In appello non c’era alcun elemento nuovo perché la richiesta di integrazione probatoria è stata respinta. Dunque non si capisce cosa possa essere accaduto. Aspetteremo le motivazioni della sentenza e poi faremo certamente ricorso».
Per quanto riguarda le pene accessorie, l’interdizione dai pubblici uffici e la libertà vigilata, l’avvocato taglia corto.
«Non mi interessa perché sono convinto che la sentenza verrà assolutamente cassata. Non si comprende nemmeno come possa essere stata pensata. Ho sempre creduto nella giustizia ma sono deluso e amareggiato».
L’esponente di Forza Italia è stato condannato a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa, pene accessorie l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e la libertà vigilata di un anno una volta espiata la pena. Ieri i giudici di Bologna hanno sostanzialmente confermato gli esiti del primo grado, però con due importanti eccezioni, le condanne di Pagliani e di Michele Colacino, che erano stati assolti.
«Così si rovina una famiglia, le persone che mi sono vicine - si sfoga il politico - ho un figlio che deve nascere, un altro nato durante questo percorso. Così si compie un atto criminale verso qualcuno che non ha mai avuto un briciolo di potere in questa città, perché la mia parte politica non è mai stata alternativa a nulla, il centrodestra ha al massimo un diritto di tribuna qui...».
Mentre parla con noi il telefono cellulare di Pagliani squilla di continuo e davanti all’abitazione è un via vai di persone. «Ho ricevuto centinaia di telefonate, dai vertici nazionali, parlamentari, amici, anche avversari. La gente ha capito che è un accanimento vergognoso e mi esprime solidarietà».
L’avvocato interrompe l’intervista per firmare le dimissioni da consigliere provinciale e comunale, ponendo fine così a un’attività politica di lungo corso. «Voglio andare in Cassazione senza brighe, in base alla Severino sarei stato sospeso ma non sarei decaduto, ma non mi interessa. Visto che per la mia passione politica sono andato a finire in una vicenda vergognosa, ma anche molto dolorosa per me e le persone vicine, non ho più intenzione di ricoprire ruoli amministrativi, perché fatti così mi fanno sinceramente un po’ schifo».
Inevitabilmente Pagliani torna sulla famigerata cena del marzo 2012, «quella stramaledetta cena», dove secondo la Dda si sarebbe avvicinato consapevolmente a persone legate alla ’ndrangheta. «È palese che non posso essere un concorrente esterno non avendo nulla da dare a questa gente e non sapendo nemmeno che questa gente fosse concorrente in qualcosa». Per la procura l’avvocato era consapevole della caratura criminale di alcuni interlocutori, in particolare Nicolino Sarcone. «Ma se dalla questura sino a due mesi dopo la cena del marzo 2012 continuavano ad andare a cena insieme a queste persone, se non lo sapevano loro perché dovevo essere tenuto io a sapere qualcosa». Un riferimento ad alcuni dei partecipanti alla cena che erano in rapporti con esponenti delle forze dell’ordine (tra loro non figura Sarcone).
Il legale di Arceto appare combattivo, anche se provato dalla sentenza di poche ore prima, e si dice convinto di poter ottenere ragione in Cassazione, senza nascondere la profonda delusione per una decisione che non si aspettava. «Non c’è nessun elemento che potesse portare a questa sentenza. Il Riesame dopo l’arresto mi ha scarcerato, in primo grado sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Fino a sei anni fa non sarebbe stato nemmeno possibile fare un appello per una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. In appello non c’era alcun elemento nuovo perché la richiesta di integrazione probatoria è stata respinta. Dunque non si capisce cosa possa essere accaduto. Aspetteremo le motivazioni della sentenza e poi faremo certamente ricorso».
Per quanto riguarda le pene accessorie, l’interdizione dai pubblici uffici e la libertà vigilata, l’avvocato taglia corto.
«Non mi interessa perché sono convinto che la sentenza verrà assolutamente cassata. Non si comprende nemmeno come possa essere stata pensata. Ho sempre creduto nella giustizia ma sono deluso e amareggiato».