Tizian: «Torello? Sono certo che i magistrati faranno luce»
di Evaristo Sparvieri
Il giornalista finito sotto protezione sulle rivelazioni del consigliere comunale Pd, Pierluigi Saccardi «È inquietante che un faccendiere della ’ndrangheta abbia contatti con un politico del centrodestra»
20 settembre 2017
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REGGIO EMILIA. «Credo che Femia sappia bene di cosa si stia parlando. E sono certo che i magistrati gli chiederanno spiegazioni di quei contatti che Torello usava su Reggio Emilia. Sempre che ciò non sia già stato fatto». E ancora: «È inquietante il fatto che Torello, considerato un faccendiere della ‘ndrangheta, sia stato presentato da un esponente delle istituzioni del centrodestra: vuol dire che quel clan aveva contatti diretti con esponenti politici che invece di diventare un argine rispetto agli interessi del clan ne sono diventati portavoce». E infine: «Numerose procure d’Italia, da Trapani a Milano, fino a Reggio Calabria e Catanzaro, stanno indagando per capire se questi contatti fra mondi apparentemente distanti non nascano nei mondi di mezzo, ovvero in quei luoghi in cui si incontrano portatori di interessi e dove l’impresa si incontra con la criminalità. E per capire se, a far da collante, ci sia la massoneria, come sta emergendo con forza in inchieste in numerose parti d’Italia, dove si sta scoprendo che la ’ndrangheta è inserita in circuiti massonici che hanno garantito ai clan grandi affari».
Così Giovanni Tizian, giornalista dell’Espresso, commenta la rivelazione del consigliere comunale Pd, Pierluigi Saccardi, che a margine della prima seduta in Sala Tricolore ha svelato di essere stato contattato in due occasioni – nel maggio 2014 e nel novembre 2016 – dall’imprenditore piemontese, Guido Torello, nel febbraio di quest’anno condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. È proprio la voce di Torello quella che, nell’ambito dell’inchiesta “Black Monkey”, durante una telefonata intercettata con il boss, Nicola “Rocco” Femia (oggi collaboratore di giustizia), complottava di «sparare in bocca» al giornalista dell’Espresso, finito nel 2012 sotto scorta dopo numerosi articoli considerati scomodi, nei quali aveva rivelato gli affari del clan.
Nel racconto di Saccardi, Torello «chiedeva contatti con le istituzioni per presunti affari». E li chiese con l’intermediazione di «un esponente del centrodestra che aveva un ruolo istituzionale». Di fronte a questa richiesta, il consigliere comunale Pd – all’epoca vicepresidente della Provincia e poi consigliere provinciale – segnalò l’accaduto all’allora questore Roberto Savi e al prefetto Antonella De Miro.
«Sono curioso di capire se in futuro si vorranno approfondire questi rapporti opachi e torbidi e dal punto di vista dell’etica inspiegabili – aggiunge Tizian – il racconto di Saccardi testimonia un fatto grave, perché dimostra la capacità dei clan di arrivare ovunque».
Secondo il giornalista, «la pericolosità di questi avvicinamenti delle cosche nei confronti della politica sta tutta nella invisibilità mafiosa, ovvero nella difficoltà di distinguere chi è l’interlocutore che ci si trova davanti. In questo caso specifico, su Torello erano già disponibili notizie sul web, che hanno facilitato il comportamento del consigliere comunale. Poi ci sono quelli più spregiudicati che non valutano il personaggio che si trovano davanti bensì soltanto ciò che questo ha da offrire».
Ma l’episodio segnalato da Saccardi, secondo Tizian, mostra anche un altro elemento di interesse. Che consiste proprio nel rapporto tra politica e criminalità organizzata: «In Emilia si continuava a negare che ci fossero rapporti. Ora con condanne e processi giunti a conclusioni lo si fa meno. Ma il rapporto tra mafia e politica, ovvero la capacità dei clan di avere contatti con la politica, resta sempre un argomento molto divisivo, in Emilia come nel resto d’Italia. Mente invece di fronte a verità giudiziarie dovrebbe essere considerato un’evidenza».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Così Giovanni Tizian, giornalista dell’Espresso, commenta la rivelazione del consigliere comunale Pd, Pierluigi Saccardi, che a margine della prima seduta in Sala Tricolore ha svelato di essere stato contattato in due occasioni – nel maggio 2014 e nel novembre 2016 – dall’imprenditore piemontese, Guido Torello, nel febbraio di quest’anno condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. È proprio la voce di Torello quella che, nell’ambito dell’inchiesta “Black Monkey”, durante una telefonata intercettata con il boss, Nicola “Rocco” Femia (oggi collaboratore di giustizia), complottava di «sparare in bocca» al giornalista dell’Espresso, finito nel 2012 sotto scorta dopo numerosi articoli considerati scomodi, nei quali aveva rivelato gli affari del clan.
Nel racconto di Saccardi, Torello «chiedeva contatti con le istituzioni per presunti affari». E li chiese con l’intermediazione di «un esponente del centrodestra che aveva un ruolo istituzionale». Di fronte a questa richiesta, il consigliere comunale Pd – all’epoca vicepresidente della Provincia e poi consigliere provinciale – segnalò l’accaduto all’allora questore Roberto Savi e al prefetto Antonella De Miro.
«Sono curioso di capire se in futuro si vorranno approfondire questi rapporti opachi e torbidi e dal punto di vista dell’etica inspiegabili – aggiunge Tizian – il racconto di Saccardi testimonia un fatto grave, perché dimostra la capacità dei clan di arrivare ovunque».
Secondo il giornalista, «la pericolosità di questi avvicinamenti delle cosche nei confronti della politica sta tutta nella invisibilità mafiosa, ovvero nella difficoltà di distinguere chi è l’interlocutore che ci si trova davanti. In questo caso specifico, su Torello erano già disponibili notizie sul web, che hanno facilitato il comportamento del consigliere comunale. Poi ci sono quelli più spregiudicati che non valutano il personaggio che si trovano davanti bensì soltanto ciò che questo ha da offrire».
Ma l’episodio segnalato da Saccardi, secondo Tizian, mostra anche un altro elemento di interesse. Che consiste proprio nel rapporto tra politica e criminalità organizzata: «In Emilia si continuava a negare che ci fossero rapporti. Ora con condanne e processi giunti a conclusioni lo si fa meno. Ma il rapporto tra mafia e politica, ovvero la capacità dei clan di avere contatti con la politica, resta sempre un argomento molto divisivo, in Emilia come nel resto d’Italia. Mente invece di fronte a verità giudiziarie dovrebbe essere considerato un’evidenza».
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