Il pentito Valerio: «Pizzo, delitti e incendi: a Reggio Emilia comandiamo»
Valerio confessa tutto: «Attentato in via Premuda perché non pagavano Abbiamo ucciso Ruggiero e appiccato incendi per intimidire gli avversari»
REGGIO EMILIA «Sono stato uno dei mandati dell’omicidio di Rosario Ruggiero a Cutro, ho fatto parte del commando che ha ucciso Giuseppe Ruggiero a Brescello, ho commesso io l’attentato in via Premuda per ottenere il pizzo e ho bruciato l’auto di Gaetano Blasco». Antonio Valerio non sta solo vuotando il sacco: sta sconvolgendo la sua storia processuale e quella di tutti gli altri imputati di Aemilia.
Sta confessando reati temibili, invischiando se stesso - che potrà però contare sullo status da collaboratore di giustizia e i relativi “sconti” - e una lunga serie di persone delle quali fa nomi e cognomi, tracciandone reati e gradi di parentela. Ha parlato da giugno a settembre riempiendo centinaia di pagine in diciotto verbali: da quando ha deciso di passare da imputato in cerca di una strenua difesa in Aemilia a collaboratore perno del maxi processo contro la ’ndrangheta al nord.
Negli atti depositati al processo con le dichiarazioni di Valerio, c’è il romanzo criminale della consorteria mafiosa in Emilia, che a Reggio detta legge, spesso con le pistole in pugno. Ci sono gli incendi dolosi a Reggio pagati 500 euro, gli omicidi a raffica fino Cutro, gli attentati a Reggio al bar Pendolino nel 1998 e l’attentato in un altro locale in via Premuda.
«L’ho compiuto io quell’attentato esplosivo - svela Valerio il 28 giugno davanti ai pm antimafia Marco Mescolini e Beatrice Ronchi - serviva per convincerli a pagare il pizzo». Ruggini e giochi di potere che anche a Reggio Emilia, a cavallo degli anni Novanta, hanno visto spargere molto sangue, fino alla pace dal 2006 in poi, dove gli avvertimenti si sono ridotti agli incendi dolosi. «Una precisa scelta di interrompere le ostilità più che per una vera riappacificazione tra gli schieramenti, perché i delitti indebolivano le consorterie attirando l’attenzione delle forze dell’ordine e arresti. Ecco perché fino al 2010 non ci sono stati fatti eclatanti e il sodalizio emiliano si è potuto dedicare all’espansione economica attraverso attività lecite e illecite - dice Valerio - come false fatturazioni, usura, truffe, ricorso a imprenditori conniventi, in parte diventati interni agli affari del clan». Una pace puntellata dagli incendi dolosi, «in quel periodo usati per imporre la nostra forza intimidatrice».
Le confessioni di Valerio sono il vaso di Pandora. Cinquant’anni, ufficialmente imprenditore edile, da vent’anni a Reggio, è considerato il super pentito del processo Aemilia. Sta svelando molti retroscena avvolti finora nella nebbia dell’omertà. In lui si riassumono i tratti che gli investigatori e la procura antimafia hanno fatto confluire nell’inchiesta. È un cutrese che si è radicato a Reggio Emilia, ufficialmente imprenditore che qui ha asceso il crimine organizzato di stampo ’ndranghetistico, tra fatti di sangue, riti di affiliazione e logiche mafiose che, racconta a più riprese, si sono radicate a Reggio Emilia. Nel 1992 viene ingaggiato infatti dall’allora astro nascente della ’ndrangheta ionica, Nicolino Grande Aracri, attuale boss di Cutro, per uccidere Giuseppe Ruggiero, padre di tre figli, freddato in piena notte nella sua casa di Brescello dal commando di killer travestiti da carabinieri. «Mi disse che dovevo ucciderlo io, poi cambiò idea all’ultimo e ho fatto l’autista - svela Valerio ai pm - A Cella, a Reggio, c’era la base logistica con le armi e l’auto mascherata da auto dei carabinieri con le divise». Grande Aracri li aspettava in autostrada, per fuggire poi in Germania, mentre altri due sicari - uno poi preso da conati di vomito - portati da Valerio a Brescello aprivano il fuoco freddando Ruggiero.
«Posso dire che in Emilia la ’ndrangheta esiste quantomeno dagli anni ’80» ha dichiarato nel primo verbale (leggi la Gazzetta del 14 settembre), definendo poi anche gli affari e le spartizioni. Lui stesso ha cominciato con il business della droga, mentre alla ’ndrangheta a Reggio Emilia «non è interessata allo sfruttamento della prostituzione». Valerio ha raggiunto il grado di quartino con il benestare del boss Grande Aracri e affiancato dal socio in affari Gaetano Blasco, con il quale ha condiviso ascesa e caduta. «Volevamo uccidere anche Salvatore Cortese prima che si pentisse - rivela ancora Valerio - I suoi rapporti con i Grande Aracri non erano più intensi e l’idea era di convocare una riunione nel cantiere di Nicolino Sarcone e di ucciderlo lì in un garage». Uno dei tanti omicidi sfumati all’ultimo, ma che rivelano la tensione che vige nei rapporti tra i sodali al clan che comanda a Reggio.