Mafie, male reggiano «Non guariremo mai»
È possibile liberare Reggio dai postumi della criminalità organizzata? Ecco cosa pensano i lettori intervenuti sulla pagina social del nostro giornale
25 settembre 2017
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REGGIO EMILIA . Aemilia, atto secondo, con cinquanta indagati. E poi l’audizione in Commissione parlamentare antimafia dell’ex direttore del Catasto, Potito Scalzulli. E ancora: la sentenza del processo Pesci, a Brescia, dove la corte ha inflitto al boss Nicolino Grande Aracri 28 anni.
Ammalarsi a Reggio Emilia di relazioni pericolose. È il titolo dell’editoriale a firma del direttore, Stefano Scansani, comparso ieri sulla Gazzetta, al termine di un’intensa settimana sul fronte della cronaca giudiziaria. E alla vigilia di una nuova settimana, altrettanto importante, a partire già da domani, quando nell’aula speciale allestita nel tribunale di Reggio comincerà la testimonianza del super pentito Antonio Valerio, che in 18 verbali ha svelato i retroscena della ‘ndrangheta a Reggio, raccontando anche la macchinazione nei confronti del sindaco Vecchi che sarebbe stata congegnata in carcere (ma nella lettera il tribunale non ha riscontrato minacce, dunque l’estensore e il suo legale sono stati assolti).
«Reggio non guarisce più dai postumi dell’infiltrazione mafiosa. Pessimista? Direi di sì – scrive Scansani – basta provare a districarsi dal groppo delle relazioni pericolose, basta mettere in fila ciò che è avvenuto solo in questa settimana per appena convincerci che di male cronico si tratta».
Un editoriale che sulla pagina Facebook della Gazzetta ha innescato da parte dei lettori un fiume di commenti. Ne riportiamo di seguito una sintesi. Reggio guarirà mai dal male cronico della criminalità organizzata? Ecco cosa pensano i reggiani.
«Reggio non guarisce perché certe dinamiche trovano terreno fertile. Non si tratta della buona fede dei reggiani, ma degli interessi economici dei politici che amministrano la città. Tuttora», scrive Nadia Giammarco. È suo il post con più apprezzamenti. «La gramigna ha sempre germogli, ma se il contadino è vigile la estirpa prima che metta radici – le risponde Blasco Castiglione – e in questo caso come nella mia Sicilia, le istituzioni dormivano o erano colluse».
Per Giangiacomo Papotti, i segni della criminalità organizzata nel tessuto reggiano lasceranno tracce indelebili: «Mi ripeto – scrive – noi reggiani non eravamo abituati a queste dinamiche sociali e ci siamo lasciati ingannare perché eravamo tutti in buona fede. Ma ora non ho dubbi che queste relazioni lasceranno il segno indelebile ma anche pragmatico di autentiche manifestazioni di diffidenza concreta nei confronti della mentalità calabrese». Anche questo commento, come il precedente, ha innescato una serie di post di risposta. «Il sistema politico-mafioso non attecchisce se il terreno non è fertile – replica Enzo McHarbuff Cadoppi – la compiacenza e i favoritismi che hanno dato adito a certe infiltrazioni, dubito che potessero essere in buona fede o causati da distrazioni e/o ingenuità...».
Fra i commenti, anche quello di Marco Prampolini: «La facilità di penetrazione delle mafie al nord è in gran parte dovuta alla crisi morale ed etica del paese (che poi non riguarda solo il nostro paese). La verità è che siamo tutti persone peggiori di quelle di 50 anni fa».
Secondo David Ferrari, invece, «politica e interessi... se solo si svelassero i retroscena della tanto amata immigrazione e prostituzione ci gelerebbe il sangue...». Per Andrea Boselli, «oramai c'è per tutti i gusti... non dimentichiamoci che ora sta arrivando la mafia nigeriana quella cinese e chi più ne ha ne metta...». Susy Cerullo mette sul banco degli imputati l’intero sistema emiliano: «Non se ne esce più! Peccato perché l’Emilia Romagna per me è la migliore d’Italia sotto ogni aspetto ...».
Le risponde Manuel Gianotti: «L’Emilia Romagna sta cadendo pericolosamente in basso. Una volta aveva valori forti. Oggi non più». E aggiunge: «I forti e fieri contadini che hanno dato corpo a queste terre (anche quando sono passati dalle campagne alle industrie), e che hanno gettato le basi per la ricchezza, non ci sono più. E con essi se ne sono andati i valori... Sono arrivati invece quelli che, data una ricchezza prodotta da altri, stanno facendo di tutto per appropriarsene».
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Ammalarsi a Reggio Emilia di relazioni pericolose. È il titolo dell’editoriale a firma del direttore, Stefano Scansani, comparso ieri sulla Gazzetta, al termine di un’intensa settimana sul fronte della cronaca giudiziaria. E alla vigilia di una nuova settimana, altrettanto importante, a partire già da domani, quando nell’aula speciale allestita nel tribunale di Reggio comincerà la testimonianza del super pentito Antonio Valerio, che in 18 verbali ha svelato i retroscena della ‘ndrangheta a Reggio, raccontando anche la macchinazione nei confronti del sindaco Vecchi che sarebbe stata congegnata in carcere (ma nella lettera il tribunale non ha riscontrato minacce, dunque l’estensore e il suo legale sono stati assolti).
«Reggio non guarisce più dai postumi dell’infiltrazione mafiosa. Pessimista? Direi di sì – scrive Scansani – basta provare a districarsi dal groppo delle relazioni pericolose, basta mettere in fila ciò che è avvenuto solo in questa settimana per appena convincerci che di male cronico si tratta».
Un editoriale che sulla pagina Facebook della Gazzetta ha innescato da parte dei lettori un fiume di commenti. Ne riportiamo di seguito una sintesi. Reggio guarirà mai dal male cronico della criminalità organizzata? Ecco cosa pensano i reggiani.
«Reggio non guarisce perché certe dinamiche trovano terreno fertile. Non si tratta della buona fede dei reggiani, ma degli interessi economici dei politici che amministrano la città. Tuttora», scrive Nadia Giammarco. È suo il post con più apprezzamenti. «La gramigna ha sempre germogli, ma se il contadino è vigile la estirpa prima che metta radici – le risponde Blasco Castiglione – e in questo caso come nella mia Sicilia, le istituzioni dormivano o erano colluse».
Per Giangiacomo Papotti, i segni della criminalità organizzata nel tessuto reggiano lasceranno tracce indelebili: «Mi ripeto – scrive – noi reggiani non eravamo abituati a queste dinamiche sociali e ci siamo lasciati ingannare perché eravamo tutti in buona fede. Ma ora non ho dubbi che queste relazioni lasceranno il segno indelebile ma anche pragmatico di autentiche manifestazioni di diffidenza concreta nei confronti della mentalità calabrese». Anche questo commento, come il precedente, ha innescato una serie di post di risposta. «Il sistema politico-mafioso non attecchisce se il terreno non è fertile – replica Enzo McHarbuff Cadoppi – la compiacenza e i favoritismi che hanno dato adito a certe infiltrazioni, dubito che potessero essere in buona fede o causati da distrazioni e/o ingenuità...».
Fra i commenti, anche quello di Marco Prampolini: «La facilità di penetrazione delle mafie al nord è in gran parte dovuta alla crisi morale ed etica del paese (che poi non riguarda solo il nostro paese). La verità è che siamo tutti persone peggiori di quelle di 50 anni fa».
Secondo David Ferrari, invece, «politica e interessi... se solo si svelassero i retroscena della tanto amata immigrazione e prostituzione ci gelerebbe il sangue...». Per Andrea Boselli, «oramai c'è per tutti i gusti... non dimentichiamoci che ora sta arrivando la mafia nigeriana quella cinese e chi più ne ha ne metta...». Susy Cerullo mette sul banco degli imputati l’intero sistema emiliano: «Non se ne esce più! Peccato perché l’Emilia Romagna per me è la migliore d’Italia sotto ogni aspetto ...».
Le risponde Manuel Gianotti: «L’Emilia Romagna sta cadendo pericolosamente in basso. Una volta aveva valori forti. Oggi non più». E aggiunge: «I forti e fieri contadini che hanno dato corpo a queste terre (anche quando sono passati dalle campagne alle industrie), e che hanno gettato le basi per la ricchezza, non ci sono più. E con essi se ne sono andati i valori... Sono arrivati invece quelli che, data una ricchezza prodotta da altri, stanno facendo di tutto per appropriarsene».
©RIPRODUZIONE RISERVATA.