«Da qui si finanziò l’omicidio di Dragone»
Valerio parla di 200mila euro pagati da Sarcone, Blasco e Diletto. Indica anche chi partì per Cutro
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REGGIO EMILIA. Tanti soldi e uomini da Reggio Emilia per uccidere – nel maggio 2004 – il boss Antonio Dragone, al culmine della sanguinaria faida interna alla cosca.
Sono rivelazioni pesanti quelle di Antonio Valerio che chiama “architetto” Nicolino Grande Aracri riferendosi alla strategia messa in atto in quegli anni per avere il controllo del clan, specificando che progettare l’uccisione di Dragone «significava molto per Reggio Emilia, ci si allargava come ’ndrangheta sul territorio scalzando i Dragone, ma servivano quattrini e forze in campo». E il pentito va subito al sodo relativamente alle mosse fatte: «L’omicidio fu progettato a Cutro, ma con un finanziamento di soldi reggiani, in quanto per aiutare la causa vennero portati 200mila euro, messi a disposizione da Nicolino Sarcone, Gaetano Blasco ed Alfonso Diletto. E a Cutro occorreva un’azione in grande stile, perché Totò Dragone non si riusciva a prenderlo, lo si vedeva entrare in casa ma non andarsene, si pensava quindi che avesse un’uscita segreta. Io stavo costruendo la casa, ero impegnato, non andai giù. Da Reggio scesero per l’agguato Carmine Sarcone, Carmine Belfiore e Salvatore Sestito, mentre altri ’ndranghetisti erano pronti in Calabria». Il racconto è di un periodo tesissimo, perché all’uscita dal carcere del boss Dragone – dice sempre Valerio – verranno ammazzati sei fedelissimi di Grande Aracri. E anche a Reggio Emilia non si scherzava. Un clima di sospetto diffuso, dove anche il non salutare qualcuno poteva essere male interpretato e costare caro. Ma anche dove, chi rimaneva in bilico tra le fazioni in lotta, rischiava grosso.
Valerio racconta di due omicidi sfumati nel Reggiano. Il primo è quello di Raffaele Todaro, genero del boss Dragone ma anche «braccio economico». Il secondo è quello di Salvatore Arabia (detto Petti Palumba), uomo della «vecchia guardia» che «sapeva gestire bene la ’ndrangheta a Reggio Emilia», freddato poi nel 2003 in Calabria.
Sono rivelazioni pesanti quelle di Antonio Valerio che chiama “architetto” Nicolino Grande Aracri riferendosi alla strategia messa in atto in quegli anni per avere il controllo del clan, specificando che progettare l’uccisione di Dragone «significava molto per Reggio Emilia, ci si allargava come ’ndrangheta sul territorio scalzando i Dragone, ma servivano quattrini e forze in campo». E il pentito va subito al sodo relativamente alle mosse fatte: «L’omicidio fu progettato a Cutro, ma con un finanziamento di soldi reggiani, in quanto per aiutare la causa vennero portati 200mila euro, messi a disposizione da Nicolino Sarcone, Gaetano Blasco ed Alfonso Diletto. E a Cutro occorreva un’azione in grande stile, perché Totò Dragone non si riusciva a prenderlo, lo si vedeva entrare in casa ma non andarsene, si pensava quindi che avesse un’uscita segreta. Io stavo costruendo la casa, ero impegnato, non andai giù. Da Reggio scesero per l’agguato Carmine Sarcone, Carmine Belfiore e Salvatore Sestito, mentre altri ’ndranghetisti erano pronti in Calabria». Il racconto è di un periodo tesissimo, perché all’uscita dal carcere del boss Dragone – dice sempre Valerio – verranno ammazzati sei fedelissimi di Grande Aracri. E anche a Reggio Emilia non si scherzava. Un clima di sospetto diffuso, dove anche il non salutare qualcuno poteva essere male interpretato e costare caro. Ma anche dove, chi rimaneva in bilico tra le fazioni in lotta, rischiava grosso.
Valerio racconta di due omicidi sfumati nel Reggiano. Il primo è quello di Raffaele Todaro, genero del boss Dragone ma anche «braccio economico». Il secondo è quello di Salvatore Arabia (detto Petti Palumba), uomo della «vecchia guardia» che «sapeva gestire bene la ’ndrangheta a Reggio Emilia», freddato poi nel 2003 in Calabria.