«Delitto Megna? Organizzato qui»
Aemilia, Valerio: «Soldi e armi inviati in Calabria, Bolognino uccise Capicchiano»
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REGGIO EMILIA. Nella quarta udienza del maxi processo Aemilia dedicata alla deposizione del collaboratore di giustizia Antonio Valerio, sono continuati i racconti relativi a fatti di sangue.
E Reggio Emilia in tutto ciò non ha certo un ruolo secondario. È qui da noi che viene pianificato di uccidere Angelo Salvatore Cortese, fra il 2003 e il 2006: «Si stava allargando troppo e a Pieve, vicino agli uffici dei Sarcone facemmo delle riunioni. Venne ideata una trappola in un garage ma Cortese forse aveva capito che c’era in atto un’attività criminale nei suoi confronti e non si presentò all’appuntamento». Più avanti, cioè nel 2008, da Reggio Emilia partono soldi («Non ricordo se 200 o 300mila euro, finanziati da Gaetano Blasco, Nicolino Sarcone ed Alfonso Diletto») e armi («Vennero portate giù da un Tancrè e credo siano state poi trovate») per uccidere Luca Megna, figlio del boss Mico Megna. L’agguato ci sarà e il figlio del capoclan morirà il 22 marzo 2008 a Papanice di Crotone. «Fu ucciso per questioni calabresi, ma interessi reggiani per farlo fuori ce n’erano eccome – rimarca Valerio – perché Megna veniva spesso a Montecchio a trovare i suoi sodali papaniciari, insomma dava fastidio». Secondo il pentito – che dice di aver raccolto su questo tasto le confidenze di Roberto Turrà – fra i partecipi di quell’agguato c’era Francesco Capicchiano di Isola Capo Rizzuto, poi ucciso da Michele Bolognino schierato con i Megna: «Raccontai questa cosa a Nicolino Grande Aracri quando uscì dal carcere nel 2011– prosegue il pentito – e lui valutò che gli poteva servire una mano che sapeva sparare, così Bolognino diventò ruota e carro (il riferimento è ad un’intercettazione in cui il boss definisce lo stesso Bolognino «l’ultima ruota del carro» ma che Valerio colloca precedentemente, ndr) e farà affari con Grande Aracri, avviando un rapporto diretto fra loro». (t.s.)
E Reggio Emilia in tutto ciò non ha certo un ruolo secondario. È qui da noi che viene pianificato di uccidere Angelo Salvatore Cortese, fra il 2003 e il 2006: «Si stava allargando troppo e a Pieve, vicino agli uffici dei Sarcone facemmo delle riunioni. Venne ideata una trappola in un garage ma Cortese forse aveva capito che c’era in atto un’attività criminale nei suoi confronti e non si presentò all’appuntamento». Più avanti, cioè nel 2008, da Reggio Emilia partono soldi («Non ricordo se 200 o 300mila euro, finanziati da Gaetano Blasco, Nicolino Sarcone ed Alfonso Diletto») e armi («Vennero portate giù da un Tancrè e credo siano state poi trovate») per uccidere Luca Megna, figlio del boss Mico Megna. L’agguato ci sarà e il figlio del capoclan morirà il 22 marzo 2008 a Papanice di Crotone. «Fu ucciso per questioni calabresi, ma interessi reggiani per farlo fuori ce n’erano eccome – rimarca Valerio – perché Megna veniva spesso a Montecchio a trovare i suoi sodali papaniciari, insomma dava fastidio». Secondo il pentito – che dice di aver raccolto su questo tasto le confidenze di Roberto Turrà – fra i partecipi di quell’agguato c’era Francesco Capicchiano di Isola Capo Rizzuto, poi ucciso da Michele Bolognino schierato con i Megna: «Raccontai questa cosa a Nicolino Grande Aracri quando uscì dal carcere nel 2011– prosegue il pentito – e lui valutò che gli poteva servire una mano che sapeva sparare, così Bolognino diventò ruota e carro (il riferimento è ad un’intercettazione in cui il boss definisce lo stesso Bolognino «l’ultima ruota del carro» ma che Valerio colloca precedentemente, ndr) e farà affari con Grande Aracri, avviando un rapporto diretto fra loro». (t.s.)