«Dal carcere minacce ai testi di Aemilia»
Parla il nuovo pentito Salvatore Muto: «Facevamo uscire degli audio da Reggio per indottrinare o condizionare i testimoni»
REGGIO EMILIA. Pasquale Brescia è un uomo dai mille collegamenti. Non ne ha mai fatto mistero quando era in libertà, ma le trame dell’imprenditore edile cutrese imputato per associazione di stampo mafioso in Aemilia - autore di un celebre restauro della questura - ha allungato quei fili fin dentro al carcere di Reggio Emilia. «Grazie alle conoscenze di Brescia con alcune guardie, sono riuscito a far entrare una radiolina con delle schede di memoria Sd sulle quali abbiamo registrato degli audio. Si trattava di messaggi registrati poi da molti altri imputati del processo, che erano sia di indottrinamento sia di minaccia ai testi del processo Aemilia». Parola di Salvatore Muto, nuovo pentito del processo Aemilia, che ha già riempito sette verbali con dichiarazioni che aprono un nuovo importante squarcio sul processo contro la ’ndrangheta al nord. «Non sono un affiliato ma sono parte della ’ndrangheta» ha rivelato Muto lo scorso ottobre ai pm della Dda di Bologna Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, confermando quanto già affermato dall’accusa nel processo. «Ero gli occhi e le orecchie di Francesco Lamanna, che ha il grado di padrino, avuto all’uscita dal carcere da Nicolino Grande Aracri» racconta Muto, che non ha dubbi su Reggio Emilia: «La locale di Reggio è guidata da Nicolino Sarcone e i suoi fratelli». Una famiglia che comanda dentro e fuori dal carcere, verrebbe da dire, viste le anticipazioni già fatte in merito dai pentiti Pino Giglio e Antonio Valerio. Con il boss Nicolino Sarcone al 41bis il capo famiglia è Gianluigi, carcerato sempre a Reggio. Il braccio operativo fuori è il fratello più giovane Carmine.
Le gerarchie vengono rispettate anche dietro le sbarre e il peso di alcuni è specificamente più alto di altri. Ed è qui che si colloca, secondo Muto, Pasquale Brescia. «Grazie a lui il registratore è entrato senza passare per le solite verifiche. Quelle memorie contengono anche file con domande e risposte scritte per i testi, che così potevano giungere preparati alle udienze». Fatti tutti da vagliare nella veridicità così come sotto l’eventuale profilo penale. «Ricordo bene che nel file audio predisposto da Gianluigi Sarcone per Falbo alla fine c’era la minaccia “attenzione a quello che ti ho detto sennò bang bang”, alludendo chiaramente alla pistola».
Poi le rivelazioni in ordine sparso, tutte di interesse: «Sarcone ha detto che se si pentono i Vertinelli è finita per tutti i membri dell’associazione». C’è poi l’indicazione dei capi per territorio, dove spunta Francesco Grande Aracri su Brescello, tenuto finora in disparte. Poi la famosa lettera al sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, scritta da Brescia. «Non ero d’accordo, ma per Sarcone andava bene». (t.s./e.l.t.)