Reggio Emilia, Melloni: «Rompere il vetro alla foto del duce a palazzo Chigi»

di Chiara Cabassa
Reggio Emilia, Melloni: «Rompere il vetro alla foto del duce a palazzo Chigi»

Alberto Melloni lo ha detto dal palco dell’Ariosto davanti al premier Gentiloni. «Fare i fascistelli non è come farsi i tatuaggi. E alcuni gesti possono essere molto pericolosi.

09 gennaio 2018
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REGGIO EMILIA. «... nella anticamera di Palazzo Chigi c’è la foto del duce, che forse non va tolta, ma che chi porta la stigmate della persecuzione ha il diritto di rompere, perché almeno un vetro rotto lo distingua da Cavour o da De Gasperi...».

Questa la provocazione lanciata dal professor Alberto Melloni dal palco del teatro Ariosto dove, nel giorno della festa della Bandiera, oltre a ricevere copia del primo Tricolore ha offerto una come sempre esemplare lezione di storia. Arrivando a parlare della foto di Mussolini dopo avere sottolineato come «una società del sospetto, della discriminazione, dell’espulsione, del disprezzo, noi l’abbiamo già avuta». Riferendosi alle leggi razziste del 1938 e a tutto ciò che di terribile hanno prodotto.

Professor Melloni, come mai quella provocazione? Ha a che fare con i recenti rigurgiti fascisti o parte da più lontano?

«Intanto più che di provocazione parlerei di osservazione. Un’osservazione che parte da un problema più vecchio che ha riguardato il modo in cui siamo usciti dal fascismo. La Resistenza è stata fatta da una piccola fascia della popolazione rispetto alla totalità degli italiani. Poi, alla fine, c’è stata una sorta di “tana libera tutti”».

Come se la “defascistizzazione” in Italia non ci fosse veramente mai stata?

«In realtà mi ha sempre colpito quella fotografia del duce nell’anticamera di Palazzo Chigi così come le altre immagini di Mussolini che ancora svettano in sedi istituzionali, penso ad esempio al palazzo del Csm».

Però, sembra di capire, quell’immagine del duce non la vorrebbe togliere... ma neppure lasciare.

«Per toglierla ci vorrebbe niente ma si tratterebbe di una gestione autoassolutoria dell’operazione di rimozione. Oppure la si potrebbe lasciar lì, per non occultare una verità storica. Invece si potrebbe e dovrebbe fare qualcosa di diverso».

Cioè?

«Ero in visita ad Aushwitz e una delle sopravvissute, citando proprio l’immagine del duce a Palazzo Chigi, ha detto che avrebbe volentieri frantumato il vetro di quella foto. È quello che penso io».

Ma chi dovrebbe compiere quel gesto?

«Certo non un cretinetti qualunque. Mi piacerebbe che a compiere quel gesto fosse quella stessa sopravvissuta. O qualcuno che abbia subìto in prima persona».

Rompere quel vetro rappresenterebbe anche un messaggio preciso rivolto ai giovani in un momento nel quale l’apologia del fascismo pare trovare terreno fertile.

«Certo, in questo contesto di teste pelate che tornano, sarebbe un insegnamento. Perché è bene ricordare che fare i fascistelli non è come farsi i tatuaggi. E alcuni gesti, fatti in nome di una generica ribellione, possono essere molto pericolosi. La manifestazione di Forza Nuova a Ostia mi ha particolarmente colpito e impressionato».

Cosa le fa più paura?

«C’è un’immagine che deve farci riflettere. Davanti alla casa natale di Hitler c’è una targa commemorativa con un’iscrizione dove non compare la parola nazismo ma la parola fascismo. Questo per fare capire a tutti che nel fascismo c’è anche un aspetto sostanziale legato alla logica della forza e della prepotenza. Ed è questo che deve fare paura».

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