Reggio Emilia, con i chirurghi “pendolari” ecco come cambia la Sanità
Parla il direttore generale dell’Ausl Irccs di Reggio Fausto Nicolini: «Nuove funzioni agli ospedali per garantire a tutti la medesima assistenza»
REGGIO EMILIA. Un nuovo piano sanitario per la nostra provincia. Quattordici anni dopo l’ultimo Pal (il Piano attuativo locale, che stabilisce attori e modalità di funzionamento della sanità locale) e - addirittura 22 anni dopo quello che varò per primo un modello di sanità che metteva in connessione le realtà ospedaliere della provincia con il Santa Maria Nuova.
A questo nuovo piano sanitario sta lavorando il direttore generale dell’Azienda Usl -Irccs, Fausto Nicolini. Ma lui non sarà l’unico attore: quello che sta muovendo i primi passi in queste settimane si annuncia infatti come il piano sanitario più partecipato e condiviso di sempre. Perché così vuole la legge, ma non solo: perché davvero questo piano andrà a incidere sulla “carne viva” delle persone.
Gli ospedali, carne viva. Perché il nuovo Pal toccherà la parte che - ai cittadini in generale e ai reggiani in particolare - sta maggiormente a cuore, ovvero gli ospedali. «Questo - spiega Nicolini - sarà u n piano esclusivamente ospedaliero, concentrato cioè attorno alle strutture ospedaliere della nostra provincia». Per Nicolini e chi con lui sta lavorando a questo riordino, è la logica conseguenza del ritorno - nel luglio scorso - del Santa Maria Nuova sotto l’egida dell’azienda Usl.
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L’obiettivo è riorganizzare e ottimizzare l’azione della rete ospedaliera. Un obiettivo reso ormai imprescindibile dallo scenario - nazionale - di un continuo calo di risorse per la sanità, e dall’altro scenario - questo invece, tutto locale - del varo del Core, il Centro oncoematologico che costituisce oggi il core business dell’Irccs Santa Maria, ma non solo: oggi se parli del Core a un reggiano sopra i quarant’anni, avverti palpabile l’orgoglio per una impresa quasi epica, quella di una sanità all’avanguardia costruita dal basso, con gli utenti che, anche se non lo faranno mai, potrebbero rivendicare un ruolo di “azionisti”. Azionisti divenuti tali a colpi di lotterie e chili di sfoglia, di spettacoli dialettali e corse in bicicletta o a piedi.
Non solo il Core. Sarà quindi per questo motivo che il riordino del sistema ospedaliero dovrà essere il più condiviso della storia? «Non solo per questo - sottolinea Nicolini - e non solo perché la legge prevede che vengano coinvolti assieme alle istituzioni anche altri organismi, come ad esempio i comitati misti consultivi che devono rappresentare le istanze del mondo sociale, del volontariato e di quelle realtà che nella nostra provincia hanno assunto negli anni un protagonismo sempre maggiore e mi riferisco alle associazioni e alle onlus nate per iniziativa dei malati e delle loro famiglie».
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Non un piano calato dall’alto, dunque. Nè un piano confezionato esclusivamente dalla politica, che avrà comunque un ruolo, così come del resto è stato anche in questi anni.
La condivisione in questa partita giocherà un ruolo decisivo. E questo perché il nostro territorio è alla vigilia di un cambiamento epocale. Che ha preso le mosse con la nascita e l’entrata in funzione del Core e che per paradosso rischia di essere un boomerang per il sistema. «Il rischio da scongiurare - spiega Nicolini - è quello di un effetto black hole, una confluenza di richieste, anche fuori luogo, per il Core che invece deve restare impagnato sulle casistiche più complesse per le quali peraltro è nato».
L’obiezione è dietro l’angolo: invero, se il reggiano vuole andare al Core è perché ritiene che lì ci siano le tecnologie più avanzate e magari anche i professionisti più adatti al suo problema. Delle due convinzioni soltanto la prima ha probabilmente un fondamento. Il Core nasce e si basa sulla “potenza di fuoco” delle tecnologie su cui Reggio Emilia punta da anni. Quanto ai professionisti, la qualità nella nostra provincia è da anni alta e omogenea. Semmai, lo sforzo è quello di garantire a tutti i pazienti reggiani la medesima qualità dell’assistenza. Anche a costo di far muovere i pazienti.
«Alcune mosse in questo senso - dice il direttore generale dell’Ausl - sono già una realtà. Pensiamo ad esempio alla chirurgia della cataratta che fino a poco fa veniva praticata in tutti gli ospedali della provincia con numeri non significativi. Ora per cinque dei sei ospedali il centro di riferimento è l’Oculistica del San Sebastiano di Correggio. Che così in un anno può far registrare oltre 4mila interventi, contro i 1500 del Santa Maria Nuova.
Il piano delle chirurgie. La rappresentazione plastica di quel che aspira ad essere il nuovo piano sanitario provinciale è proprio nel riordino delle chirurgie dei vari ospedali e della loro integrazione con quelle del Santa Maria Nuova.
L’idea è quella di una suddivisione territoriale ma anche “tematica”, che consenta il pieno sfruttamento delle sale operatorie degli ospedali periferici. «L’idea -spiega Nicolini - è quella di tre grandi chirurgie. Una generale e, insieme, specialistica per l’area nord che comprende l’ospedale di Guastalla, il San Sebastiano di Correggio e il Franchini di Montecchio».
A sovrintendere quell’area e ad operare in tutti e tre gli ospedali il primario chirurgo di Guastalla, Valerio Annessi. Il Santa Maria Nuova resterà poi il punto di riferimento per la chirurgia d’emergenza, anche per le zone di Scandiano e Castelnovo Monti. E a guidare questo super-reparto di chirurgia sarà chiamato Stefano Bonilauri. A Claudio Pedrazzoli toccherà la guida della chirurgia oncologica.
«L’obiettivo è garantire lo stesso livello di prestazioni a tutti i cittadini della provincia. E paradossalmente - ammette Nicolini - credo che, da questo punto di vista gli utenti siano preparati. Fatte salve le urgenze, per tutta la cosiddetta “chirurgia d’elezione”, ovvero gli interventi programmati, il cittadino non ha problemi a spostarsi se sa che ad operarlo sarà il proprio chirurgo di fiducia. In questo modo - prosegue il direttore generale dell’Ausl - possiamo liberare il Santa Maria Nuova e il Core da tutte quelle aspettative improprie che rischiano di ingolfare l’Hub del nostro sistema sanitario e, per contro possono veramente penalizzare gli ospedali periferici. I professionisti si spostano dal centro alla periferia e questo comporta inevitabilmente un cambio di mentalità da parte dei medici, anche se questa “rivoluzione” nel privato accreditato è già da anni una realtà: nelle cliniche private si ingaggiano i chirurghi che alla fine operano su più sedi. Questo accadrà anche da noi».
Percorsi diagnostici. Anche su questo aspetto fondamentale il nuovo piano sanitario prenderà le mosse dall’Irccs Santa Maria Nuova, nato per conciliare l’utilizzo delle migliori tecnologie in ambito diagnostico con i nuovi modelli assistenziali. «A questo obiettivo - spiega Nicolini - non arriviamo impreparati. Dal percorso diagnostico a quelli terapeutico e assistenziale il paziente ha la garanzia che l’approccio al suo caso sarà costantemente multidisciplinare».
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E se ci si pensa, in questo aspetto, c’è molta reggianità: gli utenti sono i primi oggi, di fronte a una prima diagnosi e chiedere/pensare di poterla confrontare con un’altra. E così sarà per ogni singolo caso, il medico migliore, l’équipe più adatta e, ovviamente, la terapia più appropriata.
Emergenza-urgenza. Un altro campo su cui il nuovo piano andrà a incidere sarà quello dell’emergenza-urgenza. Il 118 in comune con Parma e Piacenza non c’entra nulla. Semmai c’entra un’altra peculiarità di Reggio, ovvero quella del sistema dei volontari, risorsa preziosissima a cui va affiancata la professionalità che richiedono gli interventi. Reggio anche in questo caso non parte da zero: si pensi, ad esempio che la nostra è l’unica provincia della regione che può vantare la presenza di una automedica in ogni distretto. «L’obiettivo - dice il numero uno di via Amendola - è quello di creare anche auto con a bordo l’infermiere professionale».
La ricerca irrinunciabile. La rete ospedaliera al centro, la necessità di mantenere la qualità dei servizi a fronte di bisogni crescenti e risorse calanti.
Una quadratura del cerchio che con il passare del tempo si fa sempre più difficile. E che, secondo Nicolini non può prescindere dalla ricerca.
«La ricerca - dice - sarà sempre di più il driver finanziario del futuro per la sanità pubblica. A Reggio non possiamo permetterci di stare fermi. E questo perché i costi lievitano, un ciclo di chemioterapia costa 30mila euro e gli investimenti pubblici calano drasticamente. Penso a una ricerca molto importante che stiamo portando avanti sul tumore della mammella. In questo ambito la prevenzione attraverso l’attività di screening ha già dato grandi risultati. Ora, attraverso l’esame della tomosintesi, una nuova tecnologia di cui Reggio si è dotata per prima, possiamo puntare a una diagnosi ancora più precoce di quella che finora ha potuto dare la mammografia».