Aemilia, perizia in bilico: slitta la discussione
Intercettazioni poco chiare tra microspie troppo distanti e frasi in dialetto: chiesta una sforbiciata
REGGIO EMILIA. Non c’è pace per il calendario del processo Aemilia. La discussione finale, che era fissata il 25 febbraio, rischia di slittare perché i periti hanno ravvisato non poche difficoltà su alcune intercettazioni ambientali, che potrebbero essere di scarso valore. Un esempio: la presunta riunione della consulente Roberta Tattini con esponenti del clan Grande Aracri per decidere il destino di lavori e appalti, avviene nella sala riunioni ma la microspia è nello studio. Troppo distante per essere perfettamente chiara. Se si aggiungono poi le frasi in dialetto cutrese e quelle in dialetto emiliano, si comprende come la probabilità di sbagliare interpretazione si alzi ancora di più, come affermato dai periti stessi. Le soluzioni sono due: dare una poderosa sforbiciata alle migliaia di pagine di trascrizioni che stanno ancora impegnando i periti, oppure portare a compimento il lavoro facendo slittare la discussione finale. Il verdetto in merito sarà espresso durante la prossima udienza, quando il pm della Dda, Marco Mescolini, farà sapere se la procura è disposta o meno a fare a meno di quelle intercettazioni.
Sempre ieri, però, a tenere banco sono stati nuovamente i reati fiscali messi in atto negli anni da una parte consistente degli imputati. «Sono operazioni create a tavolino, solo con la carta, alle volte senza nemmeno che ci sia stato un reale movimento della merce» hanno sottolineato i periti della PricewaterhouseCoopers, che hanno spulciato i bilanci delle aziende comprese nei faldoni di Aemilia. Il processo ha compiuto idealmente un salto indietro perché sono tornate a tenere banco infatti le false fatture, le frodi carosello e tutto quel sistema fatto di carta bianca e non reati di sangue. Una forma di arricchimento ai danni dell’erario, con Iva non versata così come imposte come Irap o Ires per, tramite l’utilizzo di fatture per prestazioni effettuate spesso solo in parte, con passaggi di soldi permessi da società filtro e cartiere, messe poi in liquidazione o fatte fallire senza saldare il debito con il fisco. Da Giuseppe Giglio ai fratelli Vertinelli, sono stati messi in fila una serie di casi emblematici analizzati sotto il profilo contabile, con risultati spesso parziali, mancando i documenti societari necessari per ricostruire il filo degli affari e determinarne cosa è lecito e cosa è illecito. Secondo l’accusa, infatti, l’organizzazione ’ndranghetistica operante in Emilia e legata al mammasantissima Nicolino Grande Aracri, si è fatta ricca attraverso frodi fiscali. Il denaro utilizzato per “reggere” ed alimentare l’attività sarebbe proveniente sia dalla cosca cutrese sia dalle altre attività gestite dal sodalizio emiliano. Ed il profitto di tale reinvestimento viene poi destinato al finanziamento di ulteriori attività sempre in questo territorio. Attività che ha reso l’associazione prima un polmone insostituibile per la cosca cutrese e poi ha determinato la nascita e la crescita della sua autonomia ed indipendenza in Emilia. (e.l.t.)