«Gibertini, non fu sincero ravvedimento»
Aemilia, motivazioni dure con il giornalista. Il difensore: «Calcolo tecnico, ci batteremo in Cassazione»
REGGIO EMILIA. Non è stato un sincero ravvedimento: nelle motivazioni della Corte d’Appello di Aemilia il giudizio è duro nei confronti del giornalista televisivo Marco Gibertini. Una durezza su quel livello opaco tra crimine organizzato e società civile che non ha visto nessuno sconto per gli imputati reggiani: Gibertini è stato condannato in Appello a 9 anni e 4 mesi.
Secondo le motivazioni dei giudici «la sentenza di primo grado va confermata anche nel trattamento sanzionatorio, perché le ammissioni fatte appena tre mesi dopo la custodia cautelare non sono sintomatiche di un sincero ravvedimento ma strumentali alla mitigazione della pena».
I giudici puntano il dito contro quella collaborazione che il giornalista prestò nell’aprile 2015, quando fu scarcerato dopo l’arresto scattato il 29 gennaio e finì ai domiciliari, dove si trova tuttora.
L’avvocato difensore di fiducia, Liborio Cataliotti, contesta l’interpretazione dei giudici di Appello. «Mi sembra curioso, perché il tribunale del Riesame ha ritenuto la sua collaborazione genuina e ha confermato i domiciliari». La Dda di Bologna aveva presentato appello, chiedendo al Riesame di rimetterlo in carcere. Gibertini aveva reso una memoria difensiva davanti al Riesame che, secondo il difensore, «era stata ritenuta una prova di distacco dagli ambienti malavitosi: tant’è vero che i domiciliari erano stati confermati. Il suo pentimento non poteva essere strumentale perché aveva già ottenuto una mitigazione della misura cautelare».
Sono state due, in realtà, le memorie difensive presentate dal volto noto di “Poke Balle”, nelle quali il giornalista in parte ricostruiva i fatti e in parte ammetteva alcune responsabilità, negando sempre con forza di essere un associato o un concorrente esterno all’associazione mafiosa.
Cosa ha pesato nel caso di Gibertini? Le intercettazioni in cui esprimeva ammirazione per Nicolino Sarcone, le estorsioni mascherate da “gite” giornaliere in Riviera Adriatica? Secondo il difensore «nel suo caso ha pesato una questione tecnica: la pena base del calcolo è determinata dal massimo del reato più grave che era l’estorsione, invece per un orientamento giuridico si è partiti dalla pena minima per il reato associativo. L’altro tema è se il contegno processuale meritasse le attenuanti generiche, che non sono state concesse. Anche su questo aspetto ci batteremo in Cassazione». (am.p.)