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Botta e risposta al vetriolo tra il pentito Valerio e Crivaro

Botta e risposta al vetriolo tra il pentito Valerio e Crivaro

REGGIO EMILIA. L’uno dice dell’altro di essere un bugiardo. Due imputati al processo Aemilia uno dei quali, Antonio Valerio, si è pentito, indicando l’altro, Antonio Crivaro, quale nuovo riferimento...

21 marzo 2018
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REGGIO EMILIA. L’uno dice dell’altro di essere un bugiardo. Due imputati al processo Aemilia uno dei quali, Antonio Valerio, si è pentito, indicando l’altro, Antonio Crivaro, quale nuovo riferimento per la cosca dopo che i capi sono finiti in prigione. Sarebbe uno dei quattro reggenti (insieme a Carmine Sarcone, Luigi Muto e Giuliano Floro Vito) della cosca di Cutro radicata in Emilia, colpita ma non abbattuta dagli arresti del gennaio 2015.

I due, dopo l’esame ieri di Crivaro, accusato di essere un partecipe all’associazione a delinquere di stampo mafioso al centro dell’inchiesta, sono stati risentiti su iniziativa del presidente del collegio, Francesco Caruso, che ha chiesto il confronto diretto tra Valerio, collegato da un sito protetto dopo il pentimento, e Crivaro, presente invece in aula. A Crivaro, uscito dal carcere il 16 febbraio del 2015, viene in particolare contestato di aver assunto nel tempo un ruolo di vero e proprio organizzatore della consorteria, di cui avrebbe continuato a gestire fino ad oggi le attività. Valerio ha riconfermato reati attribuitigli fin dagli anni ’90: una sfilza di illeciti come truffe ad assicurazioni e compagnie telefoniche e false fatturazioni, oltre ad uno stretto rapporto con Luigi Muto e la partecipazione a tutte le riunioni di vertice della cosca e perfino al cospetto del boss Nicolino Grande Aracri. Ma a rendere ancora più incandescente il «duello» di ieri mattina ci sono anche i foschi rapporti pregressi tra i contendenti. Crivaro è infatti parente di Rosario Ruggiero il falegname, detto «tre dita», che negli anni ’70 uccise in Calabria il padre di Valerio, innescando però la vendetta del figlio che raggiunse nel 1992 a Brescello il cugino di Rosario, Giuseppe detto Pino.

Sta di fatto che, in merito alle accuse formulate contro di lui, Crivaro ha dichiarato nel suo esame: «Non so perché Valerio abbia detto queste cose di me. Non lo conosco, non l’ho mai frequentato e neanche preso un caffè». Anzi, si corregge poi, «l’ho incontrato solo una volta tra il 2002 e il 2003 quando, anche se non mi stava simpatico per i nostri trascorsi di famiglia, gli ho fatto un lavoro e lui non me l’ha pagato. Con Luigi Muto frequentavamo vent’anni fa lo stesso bar con altri calabresi». Crivaro conferma poi la sola conoscenza con gli imputati Gaetano Blasco e Antonio Gualtieri.

Valerio rincalza: «Io non ho rancore verso Crivaro per quanto successo a mio padre, parlo per mera verità». E aggiunge: «Oltre a vedere Crivaro in aula che prendeva informazioni, c’era anche mio cugino Antonio Muto classe ’78, detto “la crapa”, che ci raccontava le attività che Crivaro faceva cose con Luigi Muto». Lo scambio di battute sale a questo punto di tono: «Io non so perché parli così, non lo capisco perché dica queste cose. Secondo me le inventa», commenta Crivaro. «Dici che non lavori, ma come fai a campare?», ribatte Valerio: «Come fanno gli imputati a piede libero che vengono sempre qui?».