Gazzetta di Reggio

Reggio

«Ero miliardario, ora solo porte chiuse»

«Ero miliardario, ora solo porte chiuse»

Sfogo in aula di Iaquinta, padre del calciatore: «Dopo le accuse, sono un pezzente. A Reggiolo ho cantieri fermi per milioni»

21 marzo 2018
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REGGIO EMILIA. «Ero miliardario e ora sono un pezzente, sono in mezzo alla strada, non ho vergogna a dirlo». È il nuovo sfogo di Giuseppe Iaquinta, cutrese da anni trapiantato nella Bassa reggiana, a Reggiolo, dove ha costruito la sua fortuna diventando uno degli imprenditori immobiliari più grossi in provincia. Del resto, ieri, si è definito lui stesso un «miliardario», portando alla mente i tempi passati, quando era in grado di costruire e ristrutturare a tambur battente. Poi con l’interdittiva antimafia e il successivo arresto del 28 gennaio 2012, la sua galassia si è frantumata. Iaquinta, imputato nel processo Aemilia contro la ’ndrangheta, ieri mattina è stato nuovamente sentito nell’aula del tribunale di Reggio Emilia in merito ai nuovi fatti contestati, con l’integrazione del capo di imputazione per associazione a delinquere di stampo mafioso. La procura antimafia lo considera uno dei sodali del clan Grande Aracri in terra reggiana. Iaquinta, padre di Vincenzo – calciatore campione del mondo anche ieri presente tra il pubblico in aula – aveva passato due mesi in carcere per poi essere scarcerato dal Riesame. Anche a lui viene contestato di aver intrattenuto rapporti con altri imputati dopo essere tornato libero. «Dal 2015 non mi vedo con nessuno, nemmeno una telefonata, li vedo solo qua in tribunale» ha detto ieri Iaquinta durante l’esame. Famose sono le foto agli atti che precedono l’arresto e che lo vedono ritratto anche con il boss Nicolino Grande Aracri assieme al figlio. Conoscenze di paese, come già bollate in passato dall’imprenditore, che ieri ha respinto ogni nuova accusa, incalzato dal suo avvocato, Carlo Taormina, tratteggiando la sua parabola economica: un cutrese che ce l’aveva fatta, diventato un imprenditore con le mani legate. «Io ho immobili invenduti a Reggiolo per circa 10-11 milioni» ha detto ieri rammaricandosi per il terremoto del 2012, il quale ha «mosso però lavori lì per 100 milioni». Occasione sfumata con l’esclusione dalla white list, che ha messo la Costruzioni Iaquinta srl fuori dagli appalti pubblici.

Situazione peggiorata con l’arresto: «Quando sono uscito dal carcere – dice – ho cercato di riprendere a lavorare ma con quello che era successo nessuno mi dava più lavoro. Ho rischiato il fallimento perché le banche mi hanno chiuso i conti. Poi sono riuscito a fare un concordato e rimettere la società in bonis. Ma hanno continuato a dire che ero mafioso, un delinquente. Ora sto facendo un lavoro a Quattro Castella e poco altro». Parla poi di contatti con gli amministratori di Reggiolo e dei tecnici del comune di Bologna per avere rassicurazioni sul prosieguo dei suoi cantieri: «Sono sempre stato una persona onesta. Non ho più avuto rapporti con i coimputati del processo. L’unica mia colpa è quella di dare confidenza a tutti condividendo la fortuna che ho avuto io e quella di mio figlio. Voglio sapere la mia colpa qual è?». Poi, su domanda di Taormina afferma: «Dei Grande Aracri ho salutato solo di sfuggita a Cutro il fratello Domenico, l’avvocato, quando sono andato giù tre giorni per il matrimonio della figlia di mio fratello. Niente altro».

Enrico Lorenzo Tidona