Gazzetta di Reggio

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Grande Aracri, corrispondenza bloccata

Grande Aracri, corrispondenza bloccata

Censurata in carcere una lettera che contiene informazioni su altri detenuti. A Bologna il giudice respinge il reclamo

19 maggio 2018
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REGGIO EMILIA. C’è massima attenzione su quanto accade attorno al boss Nicolino Grande Aracri che si trova al carcere duro nella struttura detentiva milanese di Opera.

Lo si desume dalla vicenda discussa ieri mattina, in tribunale a Bologna, vale a dire il reclamo presentato dal capoclan 58enne contro la decisione presa dal gip di bloccare una lettera inviata a “Mano di gomma” e allegata alla rivista “Ristretti orizzonti” che viene realizzata da una redazione di detenuti. Quando la corrispondenza è bloccata, il detenuto viene informato della censura e può presentare reclamo, come ha fatto Grande Aracri che è tutelato dagli avvocati Gregorio Viscomi e Gianluca Fabbri. La censura risalirebbe a quest’anno e rimane segreto il mittente della lettera. Il reclamo è stato discusso in camera di consiglio e il giudice Paola Palladino ha confermato il provvedimento del gip perché quella corrispondenza conteneva, a quanto “filtra”, informazioni su dove si trovavano altri detenuti conosciuti da Grande Aracri. Siccome il boss della ’ndrangheta si trova al carcere duro, di questi detenuti è bene che sappia il meno possibile. La competenza del tribunale felsineo è dovuta al fatto che – per legge – ci si rifà alla custodia cautelare in carcere a cui non sia ancora seguita una sentenza di primo grado, quindi in questo caso è l’indagine della Dda di Bologna su una guerra di mafia che aveva insanguinato il Nord Italia investendo la nostra provincia nel 1992 con gli omicidi di Nicola Vasapollo in città e di Giuseppe Ruggiero a Brescello. La Dda ha emesso ordini di arresto in carcere (eseguiti dalla polizia) per tre dei sei indagati investiti da questo cold case chiamato “Aemilia 1992”, in ordine al reato di omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso. Ad essere colpito anche Nicolino Grande Aracri, ritenuto il mandante dei due omicidi insieme a Antonio Ciampà (indagato), altro capo cosca cutrese.

Coinvolto in tutte e tre le recenti grandi operazioni antimafia (Aemilia, Pesci e Kiterion), il capoclan ’ndranghetista ha inanellato una serie di condanne (ancora, però, non definitive in quanto pendono le impugnazioni).

Nel novembre 2016 – a Catanzaro, nel processo Kyterion – è stato condannato in primo grado a trent’anni di reclusione perché ritenuto il mandante nel 2004 dell’omicidio – a Cutro – del boss rivale Antonio Dragone. Poi nel settembre 2017 – a Brescia, nel procedimento Pesci sempre di primo grado – la pena a 28 anni di carcere per associazione mafiosa (per la prima volta al Nord gli viene riconosciuta questa pesante accusa), mentre in Appello a Bologna (nel troncone di Aemilia dei riti abbreviati) è arrivata la conferma della pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione per danneggiamenti a seguito di incendio ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.(t.s.)