«Macché clan», Valerio smentito dal suo legale

di Tiziano Soresina
«Macché clan», Valerio smentito dal suo legale

L’avvocato del pentito: «Nessuna cosca, è gente che in concorso fa dei reati» Per il difensore mancano l’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà

30 maggio 2018
4 MINUTI DI LETTURA





REGGIO EMILIA. Una mezz’ora che non t’aspetti. La “regala” al maxiprocesso l’avvocato fiorentino Alessandro Falciani che difende il pentito Antonio Valerio. Per il legale non è mai esistita una cosca ’ndranghetistica con epicentro a Reggio Emilia, concludendo la sua stringata e per certi versi colorita arringa con la richiesta, in relazione al capo di imputazione 1 (cioè il reato di associazione mafiosa), di «assoluzione perché il fatto non sussiste».

Specifica subito il suo pensiero: «Rispetto ovviamente qualsiasi tipo di dichiarazione che Valerio ha reso. Lo difendo, ci mancherebbe altro, non posso mettere in discussione quello che lui dice, ma la valutazione se siamo in presenza o meno di una associazione mafiosa non sta alla procura, figuriamoci se sta a Valerio. Starà al tribunale valutarla. Potrei trovare – aggiunge il difensore – una semplice associazione se non addirittura un concorso di persone nel reato senza stare a scomodare l’articolo 416 bis».

L’avvocato evidenzia poi alcuni elementi a sostegno della sua tesi, a partire dalla mancanza dei caratteri di «intimidazione, assoggettamento e omertà», che vengono attribuiti dalla legge alle organizzazioni criminali mafiose. Secondo Falciani «il soggettivismo di determinate realtà ha una sua collocazione molto importante all’interno di questo processo. Spesso e volentieri l’intimidazione viene definita come tale quando invece è soltanto una supremazia numerica. Invece io identifico l’intimidazione come un qualcosa che impone soltanto la mia presenza, senza nessun tipo di manifestazione eclatante perché il mio interlocutore sa perfettamente chi sono».

Aggiunge poi una sorta di autoreferenzialità: «C’è una assoluta indipendenza dei soggetti, addirittura uno scambio di ruoli tra vittime ed estorsori, tra chi fa usura e chi la subisce. Mi chiedo che tipo di associazione possa essere quella che attiva comportamenti illegali molto spesso ai danni di soggetti che partecipano a quel determinato tipo di organizzazione».

A questo punto si sofferma sul noto schema disegnato da Valerio che tratteggia un’organizzazione non piramidale ma orizzontale. «La interdipendenza dei soggetti che sono in grado di sviluppare comunque il proprio interesse e salvo casi eccezionali devono dare conto ai vertici è elemento che cozza con la tipologia di associazione mafiosa che prevede di fuoriuscire tutti insieme all’esterno per svolgere i propri interessi. Valerio dice di molteplici interessi che lui cura personalmente e senza far sapere nulla agli altri. C’è questo aspetto quasi di sfiducia che secondo me cozza con il principio generale del 416 bis dell’unità della consorteria».

Chiama in ballo anche l’impatto geografico ambientale della consorteria: «Penso che in Emilia-Romagna la capacità di intimidire soggetti che hanno le proprie radici in culture ed esperienze diverse sia stata francamente un po’ scarsa».

Due invece le osservazioni sui cosiddetti reati-scopo attribuiti a Valerio, circa 16 tra estorsioni e usure. In primis «Valerio è sulla scena del crimine fino a un certo punto e poi apprende di questi reati da altri. Bisogna capire se la restante parte è stata provata, non basta che lui dica “l’ho saputo”». In seconda battuta «i periti finanziari del tribunale non sono riusciti a individuare quali erano gli interessi, quali i capitali, quale il debito. Di fronte all’indeterminatezza assoluta di questi parametri mi chiedo come possa il tribunale procedere a un giudizio di responsabilità. Tutti quanti devono essere assolti perché il fatto non sussiste, vista l’assoluta fumosità degli elementi rilevanti del reato».

Per il pentito Valerio – ritenuto credibile dai due pm che hanno basato sulle sue dichiarazioni gran parte delle accuse – è stata chiesta una condanna a 25 anni e 10 mesi. «Francamente – replica il legale – la trovo esagerata. Ricordo che lui ha confessato subito e si è accusato di altri reati per cui era stato assolto, mentre il collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio in Appello ha avuto una condanna a sei anni».

Nel mirino di Falciani anche la misura aggiuntiva di due anni di “casa lavoro” chiesta dall’accusa per gli imputati del rito abbreviato: «Visti i numerosi anni di reclusione in cui potrebbero incorrere – dice ironicamente – bisognerà allestire un reparto di geriatria...». Prima di ringraziare («Sono stato accolto a Reggio con simpatia, non era scontato»), le richieste per Valerio: l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» dall’associazione mafiosa o in subordine, «la condanna per associazione normale», per i reati-scopo «l'applicazione della legislazione premiale estesa nella sua massima portata».