«Non ho sconfessato Valerio»
Il difensore del pentito scrive alla Gazzetta: «Non una cosca, ma individualismi»
Illustre Direttore,
ho preso visione dell’articolo apparso sul Suo giornale, martedì 30 maggio a firma di Tiziano Soresina, circa il mio intervento al processo Aemilia in difesa di Antonio Valerio. Pur apprezzando il contenuto del pezzo, devo comunque dissentire dal titolo, tanto da quello di prima pagina quanto da quello presente al suo interno.
Non è rispondente al vero infatti che avrei smentito il mio assistito, con il quale ho concordato ogni passaggio della linea difensiva. Pur comprendendo la singolarità della mia discussione, soprattutto difendendo un collaboratore di giustizia, ho ritenuto di fornire il mio contributo al Tribunale partendo dal presupposto che non sempre ciò che si confessa equivale necessariamente alla commissione di un reato.
Valerio, come ricorderà, ha affermato di aver partecipato a una associazione a delinquere di stampo mafioso ma gli elementi che qualificavano come tale quella consorteria erano e sono, a mio avviso, insufficienti a integrare la fattispecie di cui all’articolo 416 bis cp.
La conferma di ciò che ho provato a esporre al Tribunale, senza voler ripercorrere il mio intervento, l’ho avuta proprio dal susseguirsi della verifica dibattimentale nella quale, superando la suggestione degli accadimenti, ho colto più un individualismo dedito al perseguimento di interessi personali piuttosto che l’associazionismo sostenuto dalla Procura. A una attenta lettura dei verbali di Valerio, non può non cogliersi come lui per primo si sia dedicato all’individualismo cui sopra facevo cenno pur nella partecipazione a una sorta di “colleganza geografica” in terra straniera. Senza sottrarLe ulteriore spazio e per le motivazioni che ho provato a esporLe, volevo chiarire le ragioni che, lungi dallo smentire chi assisto, sono state dettate unicamente da uno scrupolo difensivo.
Al di là che i due pm antimafia ritengono Valerio credibile (alla luce dei riscontri fatti) e che ovviamente la qualificazione giuridica di quanto raccontato dal pentito spetta ai giudici, di sicuro è apparsa a dir poco sorprendente la sua tesi difensiva, dopo aver ascoltato per varie udienze un uomo che si definisce cresciuto «a pane e ’ndrangheta», per poi snocciolare omicidi, armi, rituali e loschi affari. (t.s.)