Gazzetta di Reggio

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Boretto, quando fino al ’67 il Po si attraversava sopra 92 chiatte

Andrea Vaccari
Boretto, quando fino al ’67 il Po si attraversava sopra 92 chiatte

La storia del ponte di barche, bombardato nel ’44 e ricostruito, cessò il 26 luglio di 51 anni fa quando venne realizzato l’attuale manufatto in cemento che unisce Boretto a Viadana 

18 agosto 2018
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BORETTO. L’anno scorso ricorreva un anniversario speciale: mezzo secolo dal passaggio dell’ultima auto sul ponte in barche che collegava Boretto e Viadana, ossia la sponda reggiana e mantovana del grande fiume che unisce Emilia e Lombardia.

Lo storico manufatto venne dismesso il 26 luglio 1967 e il suo posto venne preso dal ponte in cemento che tuttora sovrasta il Po.

Del ponte, detto anche “in chiatte”, ancora oggi sussistono ricordi mitici tra gli anziani del luogo, che riportano a un tempo così distante che sembrano essere passati secoli, e non solo pochi decenni. Era formato da 92 chiatte, suddivise in 46 coppie di barche, ed era lungo 920 metri, poi ridotti a 620 quando vennero realizzate le testate. Ebbe in tutto un’esistenza di circa 100 anni, perché la sua costruzione iniziò nel 1866 e si concluse l’anno successivo.

Tante le peripezie che il ponte ha conosciuto nel corso della sua vita. Su tutte, spicca il bombardamento datato 16 luglio 1944: in quell’occasione venne distrutto dagli aerei americani e inglesi (morì un carrettiere di Cogozzo, frazione della vicina Viadana, che vi stava transitando) e venne poi ricostruito, per durare altri 23 anni.

Nell’aprile del ’45, con la guerra che volgeva al termine, di qui passavano i tedeschi in ritirata. Il ponte però, per evitare ulteriori bombardamenti degli alleati, era stato staccato, e i soldati – muniti di zaini pesantissimi – si buttavano in acqua per raggiungere la sponda opposta. In pochissimi arrivavano a destinazione.

Quando si parla del ponte in barche, spesso ci si dimentica di associarlo a un’importante figura di fiume, oggi del tutto scomparsa – fatta eccezione per Romano Gialdini, storico personaggio borettese – come quella del pontiere, mansione faticosa ma indispensabile per il funzionamento del ponte stesso. Il ponte era infatti sorvegliato giorno e notte e proprio di notte i due pontieri di turno si alternavano e andavano a dormire in una casetta.

C’era un telefono che collegava le due sponde e, al di là della sorveglianza, i pontieri dovevano occuparsi della manutenzione del tavolato, di allentare gli ancoraggi delle barche quando il fiume si alzava di livello e aprire il ponte quattro o cinque volte al giorno quando transitavano natanti che trasportavano merce di ogni tipo.

L’attività più massacrante consisteva nello svuotamento delle barche quando al loro interno si accumulava l’acqua piovana: servivano dieci persone che lavorassero ininterrottamente per tre giorni.

Il ricordo di questa importante via di collegamento è serbato in maniera tangibile al “Museo dei pontieri” di Boretto, gestito proprio da Romano Gialdini, che con questa attività ha voluto rendere omaggio al padre Dino e al nonno Archimede, per anni pontieri sul Po.

Di fronte all’ingresso del museo si nota, ancora oggi, il punto di inizio del ponte in chiatte, con a fianco un gabbiotto che presenta un tabellone con le tariffe del 1903: un pedone pagava 0,05 lire, «bovini ed equini senza bardature e finimenti lire 0,10». Pagavano anche i funerali, con tariffe diverse a seconda della modalità di trasporto della bara.