Processo Aemilia, il collegio blindato in Questura per emettere la storica sentenza
Per ragioni di sicurezza la camera di consiglio si svolgerà in via Dante: i tre giudici saranno ospitati per due settimane prima del verdetto
REGGIO EMILIA. Per almeno quindici giorni il collegio giudicante del maxiprocesso Aemilia si stabilirà in Questura, in tre camere dedicate, chino sulle carte. Il presidente Francesco Maria Caruso e i giudici Cristina Beretti (presidente del tribunale) e Andrea Rat saranno infatti ospiti della Questura, teatro dell’ultima montagna da scalare della maratona Aemilia: la camera di consiglio prima della storica sentenza.
Un maxi-processo ormai agli sgoccioli: mancano due udienze, quelle dell’11 e del 16 ottobre, poi inizierà la lunga attesa, per i 148 imputati e per l’intera città. Sul luogo della camera di consiglio un serrato confronto tra le autorità, svoltosi in queste ore, è arrivato alla conclusione che la Questura di via Dante sia la soluzione migliore, dal punto di vista della sicurezza e per l’isolamento forzato e a oltranza che attende i giudici, chiamati ad emettere il verdetto di primo grado. Una dislocazione senza precedenti, che segna un altro unicum del procedimento storico contro la ‘ndrangheta calabrese nella nostra regione.
Per camera di consiglio (ha più di un significato) si intende il luogo fisico e vietato al pubblico nel quale il giudice si ritira per deliberare ed emettere la sentenza. Senonché in un maxi-processo come questo, e con imputazioni da 416-bis (organizzazione a delinquere di stampo mafioso), tutto diventa ipertrofico e l’esigenza numero uno è la sicurezza.
Da questo punto di vista l’ampio edificio di via Dante, protetto dalle mura e presidiato 24 ore su 24 senza alcuna possibilità di accesso per i malintenzionati, costituisce una garanzia rispetto al via vai del tribunale, che nonostante i controlli della vigilanza con il metal detector pare più vulnerabile (ricordiamo che le barriere all’ingresso sono state rafforzate dopo la sparatoria del 17 ottobre 2007, che, durante una separazione civile, costò la vita a tre persone e il ferimento di un agente e di un avvocato).
La camera di consiglio prescrive la “conservazione del patrimonio conoscitivo processuale”, vale a dire la segretezza di quanto accade tra quelle mura: la quotidianità dei giudici, che non potranno avere contatti con l’esterno, sarà “sigillata” per il lasso di tempo necessario ad arrivare alla delibera. Si procederà a oltranza, con pause previste solo per il riposo.
La durata è la grande incognita: se due settimane sono la soglia minima prevista, i giorni potrebbero dilatarsi di parecchio, considerando l’impressionante mole di lavoro che attende il trio di togati.
Anzitutto il collegio dovrà pronunciarsi con due dispositivi diversi su entrambi i tronconi di Aemilia, di fatto diventati due processi paralleli: il rito abbreviato, con sconti di un terzo della pena e calcoli particolari, e il rito ordinario (alcuni imputati si ritroveranno nell’uno e nell’altro).
I numeri bastano per farsi un’idea della mole che ha prodotto il maxi-processo iniziato il 23 marzo 2016 nell’aula bunker allestita ad hoc. Aula bunker che, tra l’altro, potrebbe diventare sede anche dell’Appello, come ha proposto l’altro ieri il procuratore di Corte d’Appello di Bologna Ignazio de Francisci.
Solo le carte di Aemilia sono una montagna: oltre 300mila le pagine di atti giudiziari (tra trascrizioni delle intercettazioni, verbali delle udienze, memorie difensive e documenti di varia natura) accumulate in oltre 190 sedute in due anni e mezzo. Perfino la lettura della sentenza – che, per legge, deve svolgersi in pubblico, la motivazione arriverà in un secondo tempo – potrebbe impiegare un giorno intero.