Processo Aemilia: la Cassazione rimanda Giuseppe Pagliani in Appello, confermate le pene per 40 imputati
Annullo con rinvio anche per Colacino, il processo a Frontera e Lamanna è da rifare per un solo capo d’imputazione. Confermata invece la pena a 9 anni e 4 mesi per il giornalista Marco Gibertini
REGGIO EMILIA. E' arrivata alle ore 23 di mercoledì sera, in Cassazione, dopo oltre quattro ore di camera di consiglio, l’attesissima sentenza del processo Aemilia snodatosi con rito abbreviato. La Corte – il presidente Maurizio Fumo e i giudici a latere Rossella Catena, Irene Scordamaglia, Grazia Niccoli e Luca Pistorelli – ha confermato l’impianto accusatorio del processo: 40 le condanne definitive su 46 ricorsi presentati,
Per due imputati, l’avvocato e politico reggiano di Forza Italia Giuseppe Pagliani e l'imprenditore calabrese Michele Colacino la Corte ha deciso di annullare la sentenza di secondo grado, con rinvio alla Corte d’Appello. Andrà rifatto anche il processo d’Appello a Francesco Frontera e Francesco Lamanna, ma solo rispettivamente per i capi d’imputazione 119 e 122. Altri due imputati, Gianluca Crugliano e Michael Stanley Salwach, hanno visto ridursi la pena.
Pene confermate invece per l'imprenditore reggiano Giovanni Vecchi (4 anni e 10 mesi) e per la compagna Patrizia Patricelli (4 anni e 10 mesi).
Condanna confermata anche per l'ex poliziotto di Reggio Emilia di origine cutrese Domenico Mesiano (8 anni e 6 mesi). Conferma anche per il giornalista reggiano Marco Gibertini (9 anni e 4 mesi).
Sbocco conclusivo di un’udienza-fiume che, per circa otto ore, ha affrontato le posizioni di 46 imputati, oltre alle 29 parti civili. Molte le illustrazioni dei rispettivi ricorsi da parte dei difensori, mentre i legali di parte civile hanno in gran parte privilegiato le conclusioni scritte con relativa richiesta di risarcimento-danni. Sono stati accolti, in parte, i ricorsi della Regione Emilia Romagna e dei sindacati, che devono tornare in Appello per ridefinire i risarcimenti.
Nelle mani dei cinque giudici i destini di non pochi imputati, 46 quelli che hanno presentato ricorso, fra cui spiccava l’avvocato Giuseppe Pagliani, esponente di Forza Italia e condannato in Appello a 4 anni di carcere, dopo essere stato assolto in primo grado. Il politico reggiano si difende dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Come tutte le udienze l’avvio è per l’appello degli avvocati. Ne mancano due: la reggiana Enrica Sassi e il modenese Vittorio Rossi. Sono morti tempo fa, il 4 settembre scorso l’avvocato Sassi.
In aula lo sanno in tanti. C’è un attimo di imbarazzo, poi la Corte di Cassazione (quinta sezione penale, composta da 5 giudici), viene informata e si passa oltre. Non è chiaro se per i due imputati rappresentati dai legali deceduti è stato depositato un ricorso. Comunque si passa oltre.
I due giudici relatori e il sostituto procuratore generale Paola Filippi entrano puntigliosamente sui ricorsi presentati (46 gli imputati e 29 le parti civili), dando dei flash sulle montagne di imputazioni, associandole ai vari imputati: associazione mafiosa, detenzione di armi, spaccio di droga, estorsioni, usura, fatture false, intestazioni fittizie, riciclaggio, bancarotta fraudolenta.
A più riprese salta fuori l’Emilia-Romagna, descritta come territorio in cui – secondo la Dda di Bologna – ha imperversato in modo capillare per anni una ’ndrina autonoma, anche se emanazione della cosca cutrese Grande Aracri.
Si fa riferimento a indagini del passato (Grande Drago, Edilpiovra), a flussi di denaro reimpiegati illecitamente, con pure critiche alla società civile e alla politica emiliana.
Il sostituto procuratore generale rimarca come sul piano probatorio (intercettazioni, le rivelazioni dei pentiti, le dichiarazioni raccolte, le relazioni delle forze dell’ordine) non vi siano vizi, men che meno incompetenza territoriale. Viene confermato dall’accusa il ruolo dei capibastone: Alfonso Diletto, Romolo Villirillo, Francesco Lamanna e Antonio Gualtieri. Stessa conferma anche per il boss cutrese Nicolino Grande Aracri. Pena confermata anche per Roberto Turrà.
Qualche specificazione su Nicolino Grande Aracri, che viene “dipinto” come boss a Cutro e legato anche al clan ’ndranghetistico del Nord, ma con un ruolo diverso. In pratica la dottoressa Filippi, pur andando velocemente, “boccia” per inammissibilità tutti i ricorsi (ad eccezione di quello, accolto, riguardante Michael Stanley Salwach).
Una carrellata di oltre un’ora da parte del sostituto procuratore generale, che si sofferma di più solo sull’avvocato e forzista Giuseppe Pagliani. «Pagliani cercava dagli imprenditori edili cutresi appoggi elettorali – ha sottolineato – in un momento in cui loro volevano sdoganarsi perché sotto pressione per le interdittive antimafia. Pagliani porta avanti la teoria del complotto. Ma in lui c’era consapevolezza, voleva agevolare la cosca mafiosa, perché dalle intercettazioni si capiva perfettamente che qualcosa non andava».