Arresti, mancano all’appello Francesco Amato i fratelli tunisini e l’albanese
Delle quindici ordinanze di custodia cautelare emesse dopo la sentenza ne sono state eseguite tredici Moncef Baachaoui, condannato a 19 anni in primo grado, è sparito nel nulla come la sorella Karima
REGGIO EMILIA
Ne mancano all’appello tre: Francesco Amato, Moncef Baachaoui e la sorella Karima Baachaoui. O meglio quattro, se si considera Bilbil Elezaj, un albanese condannato a 5 anni in rito abbreviato a Bologna, pena confermata dalla Cassazione: è irreperibile da nove giorni.
Questo l’esito del blitz di arresti, condotto a tambur battente durante l’intera nottata tra mercoledì e ieri dai carabinieri di Modena e Piacenza, in esecuzione all’arresto immediato per 15 condannati in primo grado in Aemilia.
Si tratta dei quindici imputati che erano ancora a piede libero – condannati mercoledì per associazione mafiosa – per i quali il pm della Dda Beatrice Ronchi, durante la requisitoria finale, aveva chiesto, in caso di condanna in primo grado, la misura cautelare in carcere da eseguirsi immediatamente, in virtù della loro pericolosità sociale.
Con l’ordinanza in mano, i carabinieri hanno iniziato a scorrere l’elenco dei nominativi presenti nel documento e a fare la spola nei quattro angoli della provincia, prelevando nelle loro abitazioni private i quindici condannati già dalle 18 di mercoledì 31 ottobre, ultimo atto di una convulsa giornata giudiziaria.
Fino a mezzanotte sono stati portati in carcere Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo, preso in consegna a Reggiolo; i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli da Montecchio, considerati i motori economici del clan; a Cadelbosco Sopra è stato raggiunto Eugenio Sergio; rintracciato nella sua abitazione di Sesso Carmine Belfiore, condannato a 21 anni e 8 mesi, sempre presente ad ogni udienza; stessa sorte per Antonio Muto (classe 1971) di Gualtieri, Luigi Muto, Antonio Crivaro, Graziano Schirone di Montecchio, Maurizio Cavedo residente a Castelvetro (Piacenza), Carmine Arena abitante a Cadelbosco Sopra, infine Alfredo Amato (classe 1973) residente a Reggio. Francesco Lomonaco, residente in città, è stato rintracciato a notte fonda, poiché si trovava all’estero per motivi di lavoro.
Tredici persone, attualmente tutte dietro le sbarre nel carcere della Pulce di Reggio in regime del 416-bis: sono detenuti non in carcere duro (il 41-bis è a Parma), bensì in una sezione apposita, di alta sicurezza. Non è escluso che nei prossimi giorni possano essere dislocati in altri istituti penitenziari, vista la cronica carenza di posti della struttura di via Settembrini. Per questi tredici a breve si terrà l’interrogatorio di garanzia; il refrain degli avvocati difensori è che presenteranno istanza di scarcerazione al Tribunale della Libertà.
Non si trova – ma i carabinieri sono certi di poter chiudere il cerchio in breve tempo – Francesco Amato, classe 1963, condannato in abbreviato per l’associazione a delinquere di stampo mafioso a 19 anni e 1 mese (il fratello Alfredo a 19 anni). L’avvocato difensore di entrambi, Franco Beretti, è stato contattato per telefono dal suo assisitito – non un novellino della vita dietro le sbarre – proprio mercoledì sera. «Sono stato avvisato per l’esecuzione dell’arresto di Alfredo. Poco dopo mi ha telefonato Francesco e gli ho comunicato l’eventualità della carcerazione. Mi è parso molto tranquillo. “Avvocato, allora io preparo la valigia”, ha dichiarato». Ma di fatto non è stato trovato.
Irreperibile – pare che di lui si siano perse le tracce da mesi, da prima dell’estate – il tunisino Moncef Baachaoui, classe 1969, residente a Sant’Ilario, di professione informatico secondo quanto lui stesso ha dichiarato in dibattimento, condannato in abbreviato a 19 anni e difeso dagli avvocati Daniela Granato e Marco Pinotti.
Moncef è fratello della prima fuggitiva di Aemilia, Karima Baachaoui, classe 1983, ora condannata in primo grado a 21 anni e 4 mesi. La tunisina di 34 anni è latitante da tre anni, dal giorno del maxi blitz targato Aemilia, il 29 gennaio 2015. Un “fantasma” che durante il dibattimento era “ricomparso” in aula il 6 ottobre 2017 attraverso le parole del pentito Antonio Valerio, che aveva descritto la donna come «legata sentimentalmente a Gaetano Blasco», suo «factotum dal 2003»: «Quando si facevano le riunioni nel capannone di Blasco lei c’era sempre, del resto gli gestiva tutto: Blasco le aveva intestato delle società e lei non esitò a infilare nel baule della sua auto le armi che avevamo impacchettato nel capannone, per poi portarle nel suo garage».
Si ipotizza che Karima sia tornata nel suo Paese d’origine, dove il fratello potrebbe averla raggiunta.
È ricercato anche Bilbil Elezaj, albanese 51enne, nato a Kukes (Albania) e residente in città, condannato in via definitiva a 5 anni dalla Cassazione la scorsa settimana.
Nella fase iniziale di Aemilia Elezaj aveva l’obbligo di firma. Da oltre una settimana si sono perse le sue tracce: anche in questo caso l’ipotesi più plausibile è che l’uomo sia espatriato. —