«Tutti in fila per farsi curare indossando abiti da festa»
Giovannalberto Pini, urologo, ha trascorso le vacanze nei villaggi del Camerun «Darebbero tutto per averti sempre con loro. Un’esperienza che consiglio a tutti»
CAVRIAGO. «Le mie vacanze? In Camerun, in villaggi che non hanno i medici». Giovannalberto Pini, 39enne medico chirurgo urologo reggiano, cresciuto a Cavriago, laureatosi a Parma e specializzatosi a Modena e Reggio, ha lavorato sei anni con i pionieri della laparoscopia e della chirurgia robotica Da Vinci, prima in Germania (Università Heidelberg) poi in Svezia (Università Karolinska, Stoccolma). Attualmente è urologo al San Raffaele Turro di Milano. Grazie alla sua attività scientifica, dal 2009 ha vinto 14 premi e tre borse di studio internazionali, è autore di oltre 45 pubblicazioni su riviste di settore. Dal 2011 è tutor ufficiale di laparoscopia-robotica per la Società Europea di Urologia (Eau). Fa parte dei board dei giovani urologi robotici europei (J-Erus) e del gruppo italiano di chirurgia-urologia mini invasiva Agile-Group. Durante le ultime festività, è stato in Camerun. Ecco come è andata.
«Si è presentata l’occasione di andare in Camerun per portare un piccolo aiuto – racconta Pini – le proprie forze e conoscenze presso alcuni villaggi in zone remote e nella capitale Yaoundè. Si è trattato di fare assistenza di primo livello, e ciò mi ha tanto ricordato le esperienze di guardia medica portate avanti alla fine della scuola di medicina».
Cosa l’ha spinta a fare questa esperienza?
«Mi ha invitato ad andare con lui un collega, il dottor Nicolas Nyek, urologo a Modena. Non ho potuto non accettare. L’idea era quella di offrire assistenza a pazienti in diversi villaggi, alcuni dei quali privi di un medico stanziale. Per poi andare anche nella capitale».
Quanto tempo è stato via e quanti pazienti ha visitato?
«Il viaggio è durato una settimana e i pazienti visitati sono stati duecento. Avevamo già in mano una lista dei problemi principali che avremmo dovuto affrontare, pertanto ci siamo armati, in base a tali necessità, di antibiotici, antidolorifici, antiparassitari, protettori gastrici, antipertensivi. Per i casi più gravi abbiamo fatto da tramite con gli ospedali che lavorano nella capitale ed ordinato i farmaci».
Com’è, là, la situazione medico-sanitaria?
«L’assistenza sanitaria è completamente privata e un’assicurazione di base si aggira sui 15 euro mensili, mentre uno stipendio medio è di 300 euro. La tecnologia avanzata scarseggia ed è lasciata ai singoli medici che ritornano dopo esperienze formative all’estero, e questo fa lievitare i costi. Esistono poi vere e proprie agenzie che provvedono ad organizzare viaggi di natura sanitaria all’estero».
Che sensazioni ha provato?
«Mentre visiti i pazienti, che vengono vestiti in abiti da festa, capisci che ripongono in te grande fiducia e darebbero tutto per averti con loro pure il giorno dopo. E’ un’esperienza che consiglio a tutti. Non è necessario, tuttavia, viaggiare così lontano per dare il proprio contributo».
Dal 2015 lavora al San Raffaele. Altri progetti in programma?
«Nel 2019 continuerò a lavorare al San Raffaele, il cui ambiente è molto stimolante. Avrò poi l’opportunità di organizzare un corso di chirurgia robotica sul tumore della prostata e di tenere corsi di chirurgia laparoscopica presso l’Università di Malta. Ma non ho mai lasciato Reggio: ogni weekend eseguo visite ed opero in città presso diverse strutture».
Si occupa di robotica applicata all’urologia. Quanto è importante oggi la tecnologia nel suo lavoro?
«La tecnologia è molto importante nell’ambito urologico. Il robot Da Vinci, l’utilizzo di strumenti miniaturizzati, i laser, gli endoscopi di nuova generazione permettono di fare cose che solo dieci anni fa erano impensabili. Gli interventi sono più precisi, con minore perdite ematiche, minori trasfusioni e, quando è possibile, maggiore rispetto dei tessuti sani, fondamentali per la continenza urinaria e la funzione erettile, oppure per garantire una maggiore radicalità nell’asportazione di tumori avanzati».
Prima la Germania, poi la Svezia. A differenza di altri, è tornato a lavorare in Italia. Come mai?
«Ad essere sincero, non stavo cercando un rientro in Italia. Tuttavia questa chiamata inaspettata è stata molto allettante: il San Raffaele Turro è da circa 20 anni un’istituzione nel mondo urologico europeo in materia di nuove tecnologie. Ho potuto pertanto riavvicinarmi all’Italia in modo, direi, privilegiato». —
Cristina Fabbri
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