Intercettato un plico dalla Cina per falsificare 5mila banconote
Scoperta della Dogana in aeroporto a Bologna: nei guai il destinatario 36enne Il difensore: «Mai ordinato quel pacchetto dal mio assistito, non è un falsario»
CASALGRANDE. Un processo davanti al giudice Sarah Iusto su una vicenda non solo controversa, ma anche particolare, dagli scenari complessivi ancora incerti.. Il reato è fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di cui è accusato un 36enne che vive a Casalgrande. E tutto parte da un plico proveniente dalla Cina che nel maggio 2015 arriva all’aeroporto Marconi di Bologna e viene sottoposto ad un controllo di routine da parte dell’Agenzia delle dogane. C’è un preciso destinatario, come viene confermato ai doganieri dal corriere che deve recapitarlo e a sua volta ha contattato la persona a Casalgrande. Ma “qualcosa” non convince chi opera in Dogana e il plico viene aperto: dentro vi sono 71 fogli contenenti 5mila patch olografici (in soldoni, adesivi) destinati ad altrettante banconote da 50 euro. Vengono allertati i carabinieri antisofisticazione di Roma che confermano come si tratti di ologrammi da utilizzare su quel tipo di banconote per falsificarle e poi smerciarle per vere. Una falsificazione da 250mila euro, nel caso fosse andata a buon fine. Partono le indagini coordinate dal pm Piera Giannusa, viene perquisita l’abitazione del 36enne (sequestrato il pc e il telefonino), finché ora si è approdati al processo.
Ieri è stato sentito un funzionario dell’Agenzia delle dogane di Bologna che ha confermato l’esito dell’inchiesta. In aula è presente l’imputato, che sta rischiando una condanna da uno a cinque anni di reclusione.
Nella prossima udienza verrà sentito chi ha eseguito la perizia sugli ologrammi, poi il procedimento si incamminerà verso la sentenza. Ieri, a fine udienza, l’avvocato difensore modenese Alessandro Ancarani replica deciso davanti ai taccuini: «Il mio assistito non ha mai ordinato né pagato per quel plico in Cina; non c’è nulla che lo agganci a questa vicenda. Anche nella perquisizione non sono stati trovati legami, nemmeno nelle intercettazioni. Stiamo parlando di un incensurato, con famiglia, che ha solo dato il suo codice fiscale quando è stato contattato dal corriere per quel plico. Chiunque avrebbe fatto lo stesso. Se uno vuol fare il falsario non si fa certo mandare a suo nome quegli ologrammi dalla Cina».
T.S.
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